Quanto sto per scrivere è realmente accaduto, circa tre mesi fa in un giardino pubblico a Valeggio sul Mincio.
Il Giardino Sigurtà è un parco romantico di fine ‘800 diviso in diversi spazi verdi tematici ben curati tra cui grandi distese erbose nelle quali ci si può togliere le scarpe e correre liberamente, ma in cui non ci sono scivoli né altalene. Di ritorno da questo giardino dove con la mia famiglia trascorro molte piacevoli giornate, mio figlio Giulio sosta sempre volentieri in un parchetto pubblico molto ben tenuto che si trova davanti al circolo degli Alpini di Valeggio sul Mincio.
E’ un parco di quartiere dall’erba tagliata e soffice, ombreggiata da imponenti abeti e bagolari che riempiono l’aria di aromi balsamici e freschi. Non è molto grande, ma tra le sue attrazioni si possono contare tre scivoli, quattro altalene, un quadro svedese e una fontanella alla quale dissetarsi.
Sotto l’ombra degli alberi ci sono quattro panchine in legno dove i genitori possono sedersi e riposare mentre osservano i figli giocare e arrampicarsi.
Apparentemente non ha nulla di speciale eppure la sua semplicità lo rende stranamente armonioso (questi giardinetti solitamente sono piuttosto brutti e caotici) ed è per questo, credo, che è sempre popolato da bambini, mamme, passerotti, merli e ghiandaie.
E’ una sera di Aprile che sembra estiva e, nonostante siano le sette passate, ancora molti bambini sono al giardino. Giulio per prima cosa fa un giro in altalena, poi qualche discesa dalla scivolo più alto e infine, dopo aver bevuto alla fontanella (bagnandosi quasi completamente) un nuovo turno in altalena.
Io e suo padre cominciamo ad anticipargli il fatto che tra qualche minuto si dovrà partire, quando sullo scivolo più piccolo inizia a giocare un gruppetto di quattro bambini piuttosto vivaci.
Giulio non può resistere alla tentazione. Io penso che essendoci nel gruppetto bambini molto più grandi, forse sarebbe il caso di evitare di unirsi a quei giochi piuttosto scalmanati. L’entusiasmo tuttavia prevale e forse anche la mia curiosità di vedere Giulio cimentarsi nell’impresa. Lo faccio scendere dall’altalena respirando, nel breve momento in cui mi si stringe al collo, il suo profumo di erba tagliata, acqua ferrosa, ginocchia sbucciate e sudore, e per un istante tutta la mia infanzia mi salta dentro al cuore, quella gioia felice e spensierata delle giornate di primavera quando si rimaneva a giocare in cortile fino a tardi. Pervasa da questa sensazione di leggerezza guardo Giulio correre verso lo scivolo giallo e mi sembra di essere stata una sciocca a pensare che dei bambini più grandi potessero metterlo in pericolo.
In pochi secondi Giulio è già pronto ad arrampicarsi sulla scaletta per poi gettarsi nella mischia.
I bambini, le cui mamme chiacchierano tranquillamente sotto il grande pino marittimo, parlano arabo tra loro. Sullo scivolo sono tutti maschi: Giulio di due anni appena compiuti, Samid di cinque , Yasir di quattro, Omar di tre e il piccolo Fadi di un anno e mezzo che guarda il fratello e i cugini con molta voglia di partecipare.
I bambini accolgono Giulio con tenerezza e spronati dalla vivacità dei suoi modi lo coinvolgono da subito nei loro giochi. Samid cerca il mio sguardo come a controllare che io sia d’accordo con quello che sta succedendo. Mi chiede come si chiama mio figlio e mi dice il suo nome. A turno tutti i bambini si presentano. Le mamme sedute sulla panchina gettano uno sguardo alla nuova situazione e mi sorridono. Samid continua a parlarmi e mi chiede di non essere fotografato perché lui non ama essere ritratto. Questa richiesta mi pare insolita, ma rispettosa della sua volontà cerco di fare inquadrature che lo vedano di spalle o con la testa girata. Mentre mi parla e mi chiede informazioni sulla macchina fotografica continua a giocare, scivolando velocemente insieme agli altri bambini, arrampicandosi, risalendo lo scivolo al contrario. In un momento di forte allegria dove i bambini sono intrecciati gli uni agli altri nello stretto spazio concavo dello scivolo, mi allontano perché voglio osservare la situazione restando in disparte. Quello che sta accadendo su questo scivolo giallo è straordinario: non è solo l’incontro spontaneo di cinque bambini, ma una grande lezione di consapevolezza del proprio corpo e di come l’infanzia sia capace, in modo del tutto naturale, di porre cura e attenzione nei confronti dell’altro.
Come ho potuto dubitare anche solo per un’istante che Giulio potesse essere in pericolo o correre qualche rischio?
Mi accorgo di avere sempre sottovalutato il corpo nella relazione. Ma di che tipo di corpo stiamo parlando e di quale relazione?
Il corpo in questione è un corpo elastico, dinamico, vitale. Un corpo giovane che tuttavia ha percorso un lungo cammino. Nei primi tre anni di vita il corpo del bambino compie atti di grande intelligenza: impara a stare in posizione eretta e quindi a camminare, coordina pensiero e muscoli facciali per poter parlare, integra i movimenti più fini in un alfabeto gestuale fondamentale per la comunicazione. Da un punto di vista anatomico e fisiologico, si tratta di processi estremamente complessi della colonna vertebrale, della muscolatura, dei vasi sanguigni che necessitano di una volontà trasformativa fortemente vincolata alla sperimentazione emozionale. Già un neonato se prova piacere succhia più velocemente il seno e agita i piedini, mentre se prova antipatia o dolore, trattiene il respiro, tende le gambine e contrae i muscoli del viso. Così il corpo del bambino è il frutto di una tensione emotiva, un corpo modellato dagli impulsi di piacere e dispiacere, simpatia e antipatia, tensione e rilassamento. L’ambiente umano intorno al bambino ha poi una grande importanza e in particolare la posizione eretta diventa uno stimolo fondamentale per un armonico sviluppo corporeo. Il bambino sano sperimenta con crescente meraviglia il manifestarsi del movimento, esso penetra gradualmente in lui coinvolgendolo sempre di più così da diventare la somma dell’equilibrio tra forze opposte che si incontrano: peso e leggerezza, forza e arrendevolezza, velocità e lentezza, quiete e contrazione.
La relazione che un corpo instaura con un altro corpo è diretta, spontanea, istintiva. Un corpo ci attrae o ci respinge, ci comunica immediatamente felicità o tristezza, salute o malattia. I muscoli, i tendini ed il sistema nervoso, che hanno imparato a muoversi sul ritmo del cuore e quindi seguendo il movimento delle emozioni, sono anche in grado di veicolarle. Nei bambini la relazione che il corpo instaura con gli altri esseri viventi passa attraverso canali in grado di trasmettere informazioni velocissime. La relazione tra due corpi bambini è vera e diretta. La prima relazione che il corpo instaura è quella con se stesso, una relazione di piacere, di scoperta e di riconoscimento che permette poi di andare verso gli altri con disinvoltura e sincerità. L’adolescenza cambierà questo rapporto proprio per il fatto che il corpo dovrà imparare a riconoscersi nuovamente, si perde sicurezza e spontaneità per poi ritrovare consapevolezza e forza nell’età adulta. Tuttavia oggi un altro elemento in grado di turbare precocemente l’equilibrio tra corpo, emozione e movimento fin dalla più tenera età è la precoce attività sportiva. Il movimento standardizzato dello sport mina la spontaneità delle emozioni e quindi la struttura fisica, incidendo perciò anche sulla qualità delle relazioni.
Osservando i cinque bambini sullo scivolo che si toccano, si attorcigliano gli uni sugli altri con sempre maggiore consapevolezza e libertà, mi viene da pensare che è innegabile la freschezza e la bellezza di ogni loro più piccolo movimento.
Non c’è artifizio, non c’è costrizione né gesto standardizzato. Mi rendo conto che è sempre più difficile trovarsi di fronte ad un simile spettacolo. Mi domando perché e mentre azzardo una risposta, mi accorgo di quanto questi quattro bambini di origini araba, sicuramente nati in Italia, stanno portando su questo scivolo una cultura del movimento che non ci appartiene più. I nostri nonni forse saltavano i fossi o si destreggiavano in un campo di granoturco con la stessa disinvoltura e con la stessa splendida inconsapevolezza di Omar e di Yasir che giocano con il loro corpo e con quello degli altri con tanta naturalezza, equilibrio e forza senza farsi mai male. E altrettanto irreale è la tranquillità delle quattro madri che prive di alcuna apprensione gettano sguardi amorevoli verso i loro bambini senza mai intervenire, senza scatti dettati dall’ansia o da una insensata preoccupazione.
Spesso nelle scuole d’infanzia la vivacità dei bambini stranieri è vista come al limite dell’educazione, elemento di disturbo in una programmazione che punta quasi tutto sul cognitivismo e sull’intelligenza emozionale, non tenendo però conto che il corpo è emozione, spirito e materia in divenire, specialmente in un bambino. Io credo che l’energia buona che Omar, Yasir e Giulio stanno esprimendo in questo momento sia da assecondare, da ammirare e da custodire con cura.
Negli ultimi due secoli il movimento umano si è altamente tecnicizzato e meccanizzato. Non si tratta di condannare l’attività fisica praticata nella giusta misura, si tratta di riconoscere al corpo una libertà, un tempo e un percorso. Osserviamo che lo sport praticato in modo agonistico (e badate bene: c’è più agonismo di quanto non ammettiamo) causa significativi danni non solo agli organi del movimento, ma anche all’anima. Si sviluppano forme ossessive di pratica sportiva perché scompare del tutto l’elemento del piacere e del riconoscersi nel movimento. Molti pediatri si stupiscono del fatto che i bambini che fanno sport sono straordinariamente pigri al di fuori della disciplina praticata. Il movimento compiuto in modo armonico e libero fin da piccoli genera la volontà e non la inibisce, anzi la rafforza. Il movimento corretto instaura un dialogo con la sfera emotiva e psichica, porta al benessere e ad una spiritualità profonda legata alla conoscenza di sé, dei propri limiti e dei propri punti di forza.
Rispettare il processo naturale del corpo che sperimenta l’azione e il movimento è essenziale fin dai primi mesi di vita.
Credo che un bambino sano non abbia bisogno di esercizi di movimento artificiali, vivace o tranquillo egli si muoverà sempre in rapporto a ciò che è utile alla sua costituzione. I corpi non sono tutti atletici, ogni bambino ha un corpo che si relaziona alla propria indole. E’ un male? Dobbiamo per forza omologarli ad un’idea che il mondo commerciale ha costruito intorno al benessere?
I genitori penso possano sfruttare i momenti della vita quotidiana (dal cambio del pannolino allo scivolo al parco) per offrire uno stimolo adeguato al movimento spontaneo. Al contrario, tutte le manipolazioni che vengono messe in atto con lo scopo dichiarato di stimolare una particolare attività muscolare o una abilità di movimento rappresentano forse già dei processi che si inseriscono in modo artificioso ed estraneo nel corso dello sviluppo naturale del bambino.
I corpi di Omar, Yasir , Giulio e Samid mi stanno dicendo che nel gioco spontaneo abbiamo una formidabile scuola di educazione alla volontà, una grande opportunità di scoperta e relazione.
Se diamo spazio al gioco spontaneo avremo uomini liberi, coraggiosi e letteralmente forti di cuore. Un bambino non diventerà un adulto più coraggioso o un migliore nuotatore se messo in una piscina fin da neonato. Forse invece superare autonomamente il timore dell’acqua lo aiuterà ad avere fiducia in se stesso , forse gli darà l’opportunità di compiere una prodezza. L’ideologia della comodità e della sicurezza si oppone al movimento libero e felice.
Mentre il piccolo Fadi cerca di arrampicarsi su per lo scivolo e Giulio ha abbracciato Samid così forte da non consentirgli di muoversi, la loro mamma si avvicina e con molto rispetto, di fronte a mio marito, osserva la situazione, ridendo divertita e un po’ imbarazzata. Giulio e Samid sono sempre avvinghiati e ridono di gusto.
I bambini hanno giocato per quasi un’ora, facendo su quello scivolo cose davvero mirabolanti: capriole, ponti, treni, si sono scavalcati, saltati, sono rimasti in equilibrio appoggiando i piedi alle sponde, si sono anche baciati e abbracciati. Gli adulti hanno osservato e non sono quasi mai intervenuti e se lo hanno fatto è stato solo per ridere insieme ai bambini di qualche situazione divertente.
E’ ora di rientrare. Giulio viene letteralmente prelevato da mamma e papà: sarebbe stato altrimenti impossibile convincerlo a lasciare il gruppo di amici. La magia si è spezzata: mentre ci allontaniamo lo scivolo non è più così attraente e i quattro bambini cominciano a saltellare intorno alle loro madri chiedendo attenzione.
La relazione che si crea tra i corpi è fortissima e piena di significato e forse nessun progetto di “intercultura” potrà mai lasciare in Giulio un’idea più potente di comunità e amore di quella che ha potuto sperimentare oggi in questo piccolo parco cittadino.
3 pensieri su “Uno scivolo giallo”
Che bello questo post!. E’ stato emozionante e commovente leggerlo. Credo sia sacrosanto quello che dici sul movimento libero del corpo nei bambini, sul relazionarsi attraverso il corpo, e di come questo gli consenta di sviluppare sicurezza in se stessi. Ma oltre a questo leggo tra le linee un altro aspetto, che mi sembra non meno importante: la dimensione del rischio. Non ti nego che nel leggerlo, per un attimo, ho avuto un po’ di paura. C’è tra le righe, almeno per un genitore italiano, un atto di coraggio: quello di lasciare che i bambini giochino come vogliono loro. Cioè, che veramente giochino.
Dopo aver letto il libro de “La Città dei Bambini” di Francesco Tonucci i parchi gioco con scivoli ed altalene hanno un altro valore per me. Sono giochi suggeriti dagli adulti, ripetitivi e banali, e per quello spesso i bambini trovano usi diversi da quelli per cui sono stati pensati. Nel tuo scritto mi sembra di trovarmi davanti a uno di quei momenti in cui si rivela una verità meravigliosa del mondo dei piccoli: i bambini giocano con altri bambini, non con i giochi. E quel meraviglioso relazionarsi attraverso il corpo del quale parli non gli sarebbe stato concesso se non ci fosse stato un passaggio, cosciente o no, quello di consentirgli di giocare liberamente “nonostante” IL RISCHIO: un aspetto fondamentale per la crescita che sempre più spesso viene negato ai bambini.
Carissima,
per prima cosa ti ringrazio infinitamente per lasciare sempre commenti così profondi e puntuali ai miei articoli. Scrivo i miei pensieri nel silenzio della casa, mentre tutti dormono, e poi li spedisco nell’etere senza sapere mai chi li leggerà o li accoglierà. E’ quindi estremamente gratificante quando ti accorgi di instaurare un dialogo invisibile con i pensieri di un’altra persona capace a sua volta di stimolare in me nuove riflessioni. Questa è, a mio avviso, la meraviglia racchiusa in fondo al blog di Radice-Labirinto e spero che come te molti altri vorranno lasciare qui i loro pensieri.
Commentando questo articolo hai perfettamente centrato una delle parole sottese a tutto il discorso: rischio. Ho volutamente scelto di non usarla per non incappare in una grande tematica della pedagogia contemporanea. Quando ho deciso di iniziare a scrivere questo blog ho fatto due scelte di campo fortissime: la prima è quella di fare pochissime citazioni e la seconda di esprimere i miei pensieri senza dovermi per forza ispirare a qualcuno o a qualcosa.
Può sembrare presuntuoso da parte mia, ma credo che ciascuno di noi sia la somma di molte esperienze oltre che di parole ascoltate, appunti annotati, studi intrapresi. Ad un certo punto del mio percorso mi sono chiesta: ma io, ora, cosa penso davvero? E nel mio caso specifico mi sono domandata cosa rappresentino per me l’infanzia e i bambini. Ho riflettuto a lungo sulle mie esperienze, lavorative e non, e ho ascoltato il mio istinto e il mio intuito. Mi sono detta che forse potevo mettere la mia sensibilità a servizio degli altri non per insegnare qualcosa, ma per condividerla e far circolare idee e riflessioni.
Mentre osservavo mio figlio sullo scivolo giallo avevo il cuore pieno di gioia perché vedevo la vita fluire in lui, libera e serena. Quando mi sono messa a tradurre in parole l’esperienza di quel pomeriggio volevo essere anche io altrettanto libera di lasciar fluire parole e pensieri, non volevo rimanere ingabbiata dentro a concetti che a volte travalicano il senso delle piccole cose.
Sono convinta che la pedagogia oggi abbia bisogno di rifare i conti con la realtà e prendere coscienza che la tendenza dei genitori degli anni duemila sia quella di assumere parole e idee come linee guida potenti e condizionanti.
Il rischio c’è su uno scivolo, specialmente se ci si gioca in cinque: si può cadere dalle scale, ruzzolare in malo modo lungo la discesa, farsi un bel bernoccolo contro la testa di un altro bambino. Ma se io avessi parlato di rischio avrei portato alla luce tutta una polemica su libertà ed educazione, natura e contenimento, attenzione e maleducazione. Non era necessaria. Su uno scivolo giallo il rischio è il puro e semplice “farsi male”. I nostri nonni avevano continuamente ginocchia sbucciate, braccia rotte, unghie divelte (avete mai osservato le mani dei vostri nonni?Vi siete mai fatti raccontare le loro cicatrici?). Per il tipo di rischio che si può correre su uno scivolo giallo i rimedi sono due: cerotti e gessi. Niente di così tremendo. Capita. I bambini si fanno male in continuazione, ma sono anche elastici, vitali, vibranti e in loro le energie scorrono talmente velocemente che anche il danno più grave si risolve, alla peggio, nel giro di qualche mese. Quello invece a cui non ci sarà rimedio è l’energia di vita che si è controllata, frenata o addirittura negata. I bambini hanno il diritto di sentirla correre dentro le vene, lungo le righe di sudore della fronte, nei sorrisi sguaiati e senza fiato che induce la felicità. Questo è l’unico vero rischio. Bisogna avere il coraggio di provare, di lasciarsi andare al pericolo e allora perfino il parchetto più scarso andrà benissimo per divertirsi davvero. Le altalene, gli scivoli, i dondoli potranno essere anche monotoni, seriali e ripetitivi, ma ciò che li può rendere incredibilmente vivaci, unici e sempre nuovi è il gioco dei bambini. Certo sarebbe magnifico avere parchi dove le strutture di arrampicata siano rami frondosi e tronchi di bagolari! Per arrivare a questo traguardo e lasciare che i nostri figli siano liberi di godere veramente di un giardino, dobbiamo passare per gli scivoli arrugginiti e dalle altalene agganciate a pali di ferro che più di ogni altra cosa ci offrono la possibilità di vedere all’opera la capacità trasformativa del gioco. La magia del cambiamento non sta nello strumento, ma nella nostra saggezza.
Ciao Alessia,
I ringraziamenti mi sento di dover darteli io, non solo come lettrice assidua dei tuoi bellissimi post e consigli di lettura, ma per dedicare tutto questo spazio come risposta a un mio commento. Le tue parole mi toccano sempre, ma in questo caso arrivano con precisione a me come destinatario e questo le rende ancora più speciali.
Hai ragione quando parli della forte e marcata influenza che tutta l’informazione (o pseudo-informazione), arrivata attraverso diversi canali, ha su di noi, genitori del duemila, costantemente in tensione tra un modello tramandato che non riconosciamo più come nostro, un modello ideale che cerchiamo di costruire come un gigantesco puzzle con pezzi sempre mancanti, e una propria voce che, il più delle volte, viene azzittita dalle due anteriori. Siamo speso pieni di aspettative e dunque cerchiamo costantemente riferimenti, linee guide e consigli degli esperti che ci aiutino ad orientarci nel nostro difficile compito, e in mezzo a questa marea d’informazione e difficile seguire quella che da sempre è stata la strada più semplice per realizzarlo: seguire il proprio buon senso e le proprie intuizioni.
Quando ho letto il tuo post mi sono emozionata perché anch’io ho percepito la vita scorrere liberamente nei movimenti di questi bambini e mi sono domandata se io nella stessa situazione avessi lasciato ai miei piccoli giocare nello stesso modo. Probabilmente no. Ogni volta che mi trovo davanti allo scivolo di un parco giochi pieno di bambini mi sento in stato di tensione. Sono una delle tante guardiane che sorveglia le porte di questo castello dell’infanzia che i bambini percorrono in ordine e senza accavallarsi. Ho sentito un po’ di tristezza, quella che spesso mi invade quando percepisco la solitudine di mia figlia di sette anni che vorrebbe vivere in campagna con decine di animali e non al sesto piano di un palazzo di periferia in una città popolata da milioni di abitanti. Ma ho sentito anche un po’ di speranza, quella che si sveglia ogni volta che vedo uno dei miei figli assorto nel proprio gioco, per quanto semplice esso possa essere.
Sono contenta di avere alle porte una ripartenza e di poter portarmi in vacanza tutte queste riflessioni. Le riprenderò nel silenzio delle mie notti, quando si possono ascoltare meglio i propri pensieri, la propria voce interna. Sono anche contenta di aver instaurato uno scambio di idee così ricco e profondo attraverso i commenti ad un blog, credo anch’io che in questo radica la potenza e la forza trasformativa di uno strumento come questo. Mi auguro di vederlo crescere nel tempo, non solo con i miei commenti ma con tanti altri.
Ti abbraccio.
Adriana.