Questo post fa seguito a Sullo stereotipo #1.
Riprendo dopo due mesi di silenzio, la seconda parte di un articolo dedicato allo stereotipo. Molte parole sono state spese e molto è stato scritto sulla censura dei libri nel comune di Venezia.
Il silenzio arriva su fatti scandalosi come una coperta troppo corta per riuscire ad avvolgere testa e piedi, e quella sgradevole sensazione di freddo raggiunge ancora chi da quegli episodi è rimasto profondamente turbato.
Ho meditato a lungo su cosa dire in proposito e se era il caso di dire ancora qualcosa. Mi sono risposta che sì, non potevo esimermi da questo compito perché la voce di ciascuno è importante quando si mette in discussione la libertà di stampa. Molte belle intelligenze del mondo della letteratura per l’infanzia e non solo, hanno scritto parole profonde riguardo ai fatti di Venezia, e io le ringrazio una ad una, in primis Bruno Tognolini che in un suo intervento ha parlato di pietas e Sophie Var de Linden che ha fatto luce su come i fatti veneziani smascherino l’invisibilità di cui soffre in Italia la letteratura per bambini e ragazzi.
Il mio intervento vale poco e vuole solo essere un modo per non lasciare che il silenzio cada sui miei pensieri.
I libri dei sospiri
Vorrei iniziare questo articolo riportando alla vostra memoria lo straordinario lungometraggio animato di Michel Ocelot, Principi e Principesse.
L’ ultimo episodio, che dà il titolo alla raccolta, racconta di un Principe e di una Principessa, freschi di fidanzamento, che dopo essersi scambiati dolci parole, decidono di concedersi un piccolo, pudico bacio. Il bacio però si rivela fatato e trasforma il Principe in un ranocchio. “Orrore!” grida la principessa, che ora si rifiuta di baciare nuovamente una così viscida creaturina. Solo in seguito alle accorate suppliche dello sfortunato innamorato, la principessa acconsente di baciarlo ancora una volta, nella speranza che egli ritrovi il suo aspetto originale. Ma dopo il secondo bacio è la Principessa a trasformarsi… in una graziosa lumaca. In un continuo scambio di baci magici i due promessi sposi che ora battibeccano come vecchi consorti, si trasformano vicendevolmente in farfalla, mantide, scorfano, tartaruga, rinoceronte, pulce, cane, giraffa, elefante, balena, maiale, mucca fino a ritrovarsi di nuovo umani, ma nei panni l’uno dell’altra: il Principe è nel corpo della Principessa e viceversa.
Mettersi nei panni degli altri è quanto mai difficile, e tanto più ci allontaniamo dalla nostra capacità di sentire tanto più l’immedesimazione ci appare impossibile. Prendo per un attimo le distanze dal caso dei libri veneziani per spiegare meglio le mie parole, sperando che questa distanza possa poi servire per tornare sul focus della discussione con maggiore lucidità.
Se al telegiornale viene annunciata la morte di centinaia di migranti, e la prima cosa che ci salta in mente di dire è: “meglio che muoiano così piuttosto di vederli arrivare in Italia”, non è certo al nostro sentire che ci stiamo appellando. Stiamo pensando a tutte le cose che sappiamo (o che pensiamo di sapere) riguardo agli stranieri; pensiamo che l’Italia è nostra e che non ci può essere tolta né rubata, pensiamo agli extracomunitari che prendono più sussidi di un italiano rimasto senza lavoro, pensiamo al degrado delle nostre periferie, pensiamo… persino quando abbiamo paura ci dimentichiamo di sentire, eppure non c’è emozione più capace di aggrapparsi allo stomaco e di provocare un turbamento viscerale. Viene da domandarsi se stiamo coltivando paure posticce che, forse, neppure ci appartengono. La paura autentica è sana, ci guida nelle nostre profondità e ci insegna il coraggio, se sappiamo ascoltarla.
Se a scuola, oltre a fare di conto, ci avessero insegnato ad educare la nostra anima attraverso le arti, noi, di fronte a quelle immagini atroci, saremmo in grado di sentire e sentiremmo una cosa sola: dolore e spaesamento.
Prendere coscienza di questo sarebbe il primo passo di una rivoluzione.
Sentire vuol dire porsi in ascolto di noi stessi, lasciarci attraversare consapevolmente dalle emozioni. Pezzettino, dopo aver a lungo navigato, approda sull’isola chi sono, perché solo in quel luogo – dice quello saggio – sarebbe stato in grado di capire cosa significhi essere se stessi.
L’isola è arida e deserta, piena di rocce appuntite; Pezzettino inciampa e cade, frantumandosi in mille pezzi. “Si è fatto male?” mi chiedono spesso i bambini in libreria quando leggo il libro di Leo Lionni ad alta voce. “Immagino di sì” rispondo io “quando da piccola cadevo e mi sbucciavo le ginocchia, piangevo quasi sempre; poi la mamma mi disinfettava la ferita e mi metteva un cerotto e io tornavo a giocare”.
Il dolore fa parte del processo conoscitivo e solo affrontandolo si può arrivare a sentire la parte buia di noi che è, allo stesso tempo, tanto luminosa.
Censurare significa cancellare dalle mappe l’isola chi sono, impedire che i bambini cadano e si facciano male, vietare di cercare se stessi per poi riuscire ad immedesimarsi nell’altro.
Finché vivremo gli altri come uno specchio delle nostre paure, senza voler conoscerci a fondo, i libri verranno censurati e i bambini, nelle loro gabbie dorate, saranno tenuti all’oscuro dalle meraviglie nascoste nel confronto profondo con gli altri.
Molti libri dell’elenco studiato da Camilla Seibezzi per un progetto pedagogico sulla diversità nelle scuole d’infanzia di Venezia e poi messo al bando dal sindaco Brugnaro, sono libri che mettono in atto un’educazione estetica nel bambino. L’educazione estetica è oggi fondamentale. Entrando in un museo di arte contemporanea, gli adulti, già poco avvezzi all’opera d’arte, si sentono persi; i bambini al contrario si guardano intorno pieni di meraviglia. Cos’ha lo sguardo di un bambino di tanto speciale da riuscire ad incantarsi davanti un’opera apparentemente incomprensibile?
Lo sguardo del bambino è ancora sensibile, ovvero è ancora radicato nel profondo del sentire. Sentire vuol dire attraversare la tana del bianconiglio, è saltare oltre lo specchio, è vivere per giorni nel ventre della balena, è attingere dal pozzo in cui è caduta la luna. Per sentire bisogna immergersi, avventurarsi nelle parti nascoste, tuffarsi dove è più buio, e là, dove la logica si affievolisce e non ci può illuminare il cammino, ci si deve affidare alla parte più vera di noi, il cuore.
C’è il cuore nelle pagine di Piccolo blu e piccolo giallo, batte regolare nelle rime di Ninna nanna per una pecorella e si sente lontano un miglio il cuore di Pezzettino che corre, e corre corre, alla ricerca di sé.
Questi magnifici libri e altri nella lista nera del Sindaco Brugnaro hanno questa particolare caratteristica: educano al sentire.
Come potremmo immedesimarci nell’altro e quindi capire nel profondo chi siamo noi, se ci viene preclusa un’educazione estetica fin da piccoli?
Vi lascio così, con questa domanda, davanti alla porta sempre aperta di Radice-Labirinto.
PS: molti dei miei lettori mi hanno chiesto cosa ne pensassi di alcuni titoli nella lista della Seibezzi. Molti di quei libri non sono di mio gradimento e non li sceglierei per educare alla diversità, e in effetti molti di questi libri non hanno trovato asilo a Radice-Labirinto nemmeno a seguito di questa vicenda. La scelta è stata dettata dalla nostra poetica, una scelta coerente anche con lo spirito con cui promuoviamo la buona letteratura all’interno delle scuole. Detto questo, mi preme sottolineare che in nessun modo e mai i libri devono essere censurati. MAI.
La libertà deve essere sempre garantita e salvaguardata. Quello che il sindaco Luigi Brugnaro ha fatto è inaccettabile: con un libro in mano ognuno di noi può trovare le parole per esprimere ciò che sente e pensa, quale libro sia non è affare di cui il sindaco si debba preoccupare.