“Queste pozze primaverili di fiori, che spuntano anno dopo anno nello stesso punto, sono una gioia ricorrente che non viene mai meno. È una delle gioie del vivere per anni nello stesso luogo. La cosa non si applica alla terra selvaggia, e nemmeno ai vasti spazi, ma pochi restano abbastanza a lungo anche in un posto piccolo, o se ne occupano abbastanza da ripiantare gli stessi semi e conoscere questo miracolo stagionale.”
Quando pensiamo al mondo pensiamo a spazi immensi; forse ci figuriamo il nostro pianeta visto dallo spazio – così bello verde e blu!- oppure come una palla luminosa appoggiata sopra la scrivania con i suoi mari, le sue pianure e i rilievi. Siamo soliti pensare al mondo nella sua interezza, e forse lo vorremo donare ai bambini così, tutto intero, per infondere in loro il senso del viaggio e della meraviglia, la curiosità di poter incontrare gente, usanze e costumi… vorremmo davvero mettergliela tra le mani quella palla luminosa e farli girare e girare fino a che tornerebbero alle loro case più ricchi, più aperti, più sensibili.
La verità è che la maggior parte di noi viaggia da turista e nemmeno troppo “per caso” giacché perdersi è diventata un’arte; oppure viaggiamo per staccare o per riposarci, finendo magari in un villaggio turistico con tanto di animazione per adulti e bambini. Se andiamo in una capitale europea corriamo come pazzi da un museo ad un altro, da una piazza ad un’altra perché “Chissà poi quando ci ricapita”. Ci riempiamo gli occhi di tutto ciò che possiamo vedere e scattiamo molte fotografie… ricordi che, ora come ora, durano il tempo di una condivisione e che forse non guarderemo più, assorbiti come sono nel grande flusso di tutte le cose che non hanno corpo e che non possiamo ritrovarci tra le mani neanche per sbaglio, come capita con le vecchie foto quando sgusciano fuori dalle pagine dei libri.
Allora per iniziare a raccontare questo libro, ho deciso che era bene stare su un’isola; ancora meglio: su un’isola dentro ad un’isola. Un’isola che immagino piccola, giusto qualche ettaro di terreno: da quel vecchio fienile al ruscello nel boschetto, là, lungo il crinale. È il terreno di una fattoria, quella che un tempo apparteneva alla famiglia Franklin, da cui Josephine Johnson discende da parte di madre. Dopo aver vinto il premio Pulitzer nel 1935, nel 1945 si trasferisce nella tenuta che ha ereditato in Ohio, nella campagna fuori Cincinnati. Da questa piccola porzione di mondo, da questa isola, Josephine abita il tempo, il suo tempo. Non è un’isola sospesa o fantastica, non è un’isola incastonata nel blu dell’oceano, è un luogo dove il mondo continua ad accadere e Josephine lo percepisce, lo esplora e lo traduce per sé – e per noi – in un alfabeto naturale e quanto mai attuale.
Il mondo si fa immenso nel piccolo, lo sguardo abbraccia confini minimi e ne comprende il senso: Josephine sa che la linea dei faggi tiene i cinghiali lontani dalla casa, e che il noce americano con le sue radici enormi trattiene le pietre e la collina. Un’isola rende intellegibili i meccanismi su cui il mondo si poggia. Del resto il monumento dedicato all’ammiraglio Nelson in Trafalgar Square è sostenuto dalla terra bruna del sud e dell’est dell’Inghilterra, così come i confini delle regioni delimitano usi e costumi che, come i pioppi lungo gli argini, salvaguardano la varietà e la specificità di un luogo. Questo sguardo che ritorna su ciò che è vicino e lo vede ogni volta come se fosse nuovo è il miglior viaggio che possiamo fare prima di accogliere l’idea di attraversare un altro spazio geografico.
Con la scrittura limpida e concreta di Josephine Johnson siamo attirati verso il mondo che ci circonda, impariamo a desiderare qualcosa che è ad un passo da noi, siamo spronati ad indossare gli stivali e ad uscire dalla porta di casa, senza valige, con indosso solo la giacca se è autunno o un cappello se è estate. Il miglior equipaggiamento è costituito da forza di volontà, pazienza e spirito di osservazione. Perché ciò che è vicino a volte si rivela in tempi lunghi e solo dopo che ci siamo allenati a percepire cambiamenti minimi. Una semplice passeggiata diventa l’occasione per osservare il bordo dei fossi, il tronco della betulla, la siepe oltre la recinzione.
Per stare nel mondo oggi occorre un cambio di passo; se è alla sensibilità che vogliamo allenare i bambini, è necessario partire dai nostri sguardi, immaginare il grande dentro al piccolo, portare l’attenzione sul presente che accade, sapere che le erbe dei fossi, il lichene sulla corteccia della betulla, il pettirosso che nidifica nella siepe, sono nostri contemporanei: prestare loro attenzione significa prendere possesso della terra, fosse anche un’isola di erba al margine del cortile scolastico, significa decidere di non portare cambiamento a tutti i costi, ma osservare il mutare delle cose.
Con questo libro c’e un viaggio intorno al mondo pronto per voi ogni mattina. Leggere Josephine Johnson è riscoprire questa opportunità, abitare il tempo, farlo nostro e donarlo agli altri.
È un diario, diviso in dodici mesi, che aspetta il lettore adulto. Un regalo per se stessi. Leggere stralci di questo libro ai bambini della primaria sarà un dono meraviglioso. Dai dodici anni per lettori che amano esplorare la scrittura e la natura.
Guarda la diretta dove parlo di questo libro cliccando qui: