«Quella notte la madre rimase a lavorare fino a tardi e riuscì a finire la sottana. Muschio verde e filo d’oro, ecco di cos’era fatta. “Pel di muschio” la chiamò, e lo stesso nome diede alla figlia, visto che per lei l’aveva tessuta. Era una sottana magica, le disse, la sottana dei desideri; quando l’aveva indosso, le bastava desiderare di trovarsi in un posto per esserci già, e lo stesso valeva se desiderava trasformarsi in qualunque cosa…».
«Questa è una raccolta di storie di vecchie comari messe insieme allo scopo di divertire i lettori, e anche un bel po’ me stessa. Queste fiabe hanno in comune una cosa sola: ruotano tutte attorno a una protagonista femminile; sia essa sveglia, audace, buona, sciocca, crudele, sinistra, o terribilmente sfortunata, è comunque sempre al centro della scena, a grandezza naturale – a volte anche più grande…». Angela Carter
Salman Rushdie, che si proclamava «un fedelissimo fan» di Angela Carter, alla sua morte nel 1992 la compiangeva sul «New York Times» come «la regina delle fate» della letteratura inglese. E Margaret Atwood aggiungeva: «Era proprio la fata madrina. Pareva sempre sul punto di donarti qualcosa: un talismano o la formula magica per aprire porte incantate». Sul filo di queste metafore fiabesche, l’ultima grande opera di Angela Carter esce per la prima volta in Italia in edizione integrale e appositamente illustrata. Un inno alle sue muse ispiratrici: le fiabe popolari e l’intraprendenza femminile.
La fiaba, popolare e colta, è stata per Angela Carter la più potente fonte d’ispirazione: il suo capolavoro, La camera di sangue, è una raccolta di riscritture in chiave moderna e dissacrante di dieci tra le fiabe più amate al mondo. «Il mio intento non era semplicemente scriverne delle nuove versioni, né destinarle solo agli adulti, ma portare alla luce la sostanza nascosta nelle storie tradizionali» disse l’autrice nel presentarle. Il suo debito verso la tradizione fiabesca era talmente consapevole che, una volta raggiunta la piena maturità letteraria, Angela Carter tornò alle origini della sua ispirazione e dedicò i suoi ultimi anni a un’antologia di fiabe popolari al femminile: pubblicò il primo volume nel 1990, e il successo fu tale che la sua caccia alle fiabe proseguì fino a comporne un secondo, licenziato nel 1992, un mese prima di morire. Questa edizione raccoglie per la prima volta in traduzione italiana tutte le 104 fiabe del corpus che Angela Carter ha concepito attingendo a repertori che provengono dall’Europa, dagli Stati Uniti, dall’Artico, dall’Africa, dal Medio Oriente e dall’Asia. Un caleidoscopio di culture e tradizioni, di personaggi e ambienti che ritroviamo qui nelle tavole realizzate appositamente da Cecilia Campironi. Sono fiabe incentrate su una protagonista femminile: che sia bambina o vecchia, intraprendente o sciocca, crudele o sventurata, «ogni donna è sempre al centro della scena, a grandezza naturale», come scrive la stessa Carter. E in questa cavalcata da un capo all’altro della Terra, la scrittrice ci porta alla scoperta di eroine vecchie e nuove, di trame inaudite o familiari – la Cenerentola viene per esempio dall’Iraq e perde uno zoccolo d’oro invece della scarpetta di cristallo; Biancaneve si chiama Nourie Hadig e vive in Armenia, dove il suo nome vuol dire spicchio di melograno; e naturalmente non manca Barbablù, in una duplice versione: quella inglese, col nome di Mister Fox e l’orrida camera di sangue stipata delle sue vittime, e quella rielaborata dai coloni sbarcati nell’America del Nord, dove il vecchio Foster fa a pezzi le malcapitate con un tomahawk. Tra i personaggi a noi meno consueti spiccano le virago esquimesi, con la loro schietta sessualità, o l’amorevole madre cinese che torna dall’oltretomba nelle sembianze di una mucca gialla. E poi quel principe d’Egitto che cerca moglie provando una catenella d’oro alla caviglia di tutte le ragazze dell’harem; o quel re del Messico che assaggia cento tazze di cioccolata per sposare l’artefice della migliore. Quanto alle bambine, ce n’è di sveglie che mettono nel sacco gli adulti, raggirano lo zar o rabboniscono vecchie streghe come BabaYaga. E infine astute massaie che a ogni latitudine gabbano mariti babbei e ne sanno una più del diavolo. «Per essere una fantasista dotata di ali – ricorda Marina Warner – Angela teneva gli occhi piantati a terra, con la realtà sempre ben in vista. Una volta disse: “La fiaba è una storia in cui un re finisce lo zucchero e va a chiederne una manciata al re vicino”». Poche fate con le ali, in questa raccolta, ma tante donne che, per salvarsi, per puro divertimento o per voglia di rivalsa, si fanno largo in un regno fatato, popolato di spiriti e trucchi, indovinelli e incantesimi, oggetti magici e animali parlanti.