La parola fiaba deriva dal latino fabulare che significa raccontare qualcosa con la voce.
La dimensione orale è parte integrante della fiaba perché è nel suono che si nasconde il loro insegnamento più profondo. Può sembrare strano, specialmente a noi occidentali, far coincidere con il suono delle parole e non con il loro significato, il senso ultimo della fiaba.
Questo significa che il buon narratore conosce di una storia tutte le parole, e nello scrigno dentro cui, con cura, le raccoglie e le custodisce, sa che possono entrare solo le esatte parole ovvero quelle che risuonano, che portano il suono perfetto, e che unite le une alle altre danno vita a formule capaci di agganciarsi a qualcosa, in noi, di molto antico e misterioso.
La cosa interessante che invece succedeva in libreria stava proprio nel costruire, mese dopo mese, una piccola comunità intorno al nostro piccolo focolare: la mia voce diventava famigliare, i bambini e gli adulti si affezionavano al mio modo di disegnare con le parole l’immaginario fiabesco e la fiaba stessa assumeva una dimensione piccina e consueta (pur continuando a trasmettere la sua potenza).
Non so elencare le ragioni che mi hanno spinta a diventare libraia, ma potrei dirvi perché sono diventata una narratrice: sono diventata una narratrice perché mia nonna mi raccontava le fiabe.
Anche questo insegnano le storie: a parlare, a usare un vocabolario ricco, a trovare sinonimi, a intraprendere strade diverse, a far entrare nelle orecchie buona musica. E insegnano a costruire il pensiero. La nostra lingua è quanto mai musicale, ogni parola nasconde nel suo suono (e non solo nel suo significato) un paesaggio articolato; quante parole nella nostra bella lingua nascondono onomatopee e suggestioni sonore?
Dunque è un bene accompagnare l’immaginario bambino con le meravigliose illustrazioni di Renzo Mattotti e la fiaba classica reinterpretata dalla penna di Nadia Terranova.
Non abbiate timore! Lasciatevi cullare dalle parole.