Dedicato alle 700 persone che attraversando il mare avrebbero voluto un amico.
Di questo classico della letteratura per l’infanzia, oggi non mi interessano l’equilibrio perfetto tra immagini e parole, la potenza del suo quid narrativo, il perchè del suo successo nel corso degli anni; di questo albo oggi mi interessa la sua rivoluzionaria semplicità.
Quando si arriva alla verità ci si accorge subito quanto sia facile riconoscere il suo effetto su noi e sugli altri. Le menzogne sono complicate, appartengono alle menti complesse che non si sono evolute seguendo il passo del cuore.
La rivoluzione di piccolo blu sta nell’incontro con l’altro, un incontro talmente potente da farci sentire parte dell’altro. L’abbraccio tra piccolo blu e piccolo giallo non ha nulla di melenso, non è importante per l’abbraccio in sé, non ci dice che per avere un giorno perfetto bisogna abbracciarsi, perché di tutto questo, ahimè, non ce ne facciamo nulla.
Quello che serve davvero oggi è la straordinaria rivoluzione della verità e la verità non dimora in un gesto, ma nell’intenzione.
Piccolo blu si fonde con piccolo giallo perché è questo che succede quando amiamo qualcuno; e piccolo blu abbraccia piccolo giallo con tale naturalezza che noi capiamo immediatamente che il suo abbraccio non ha nulla di retorico.
In questi giorni, ho letto commenti terribili sull’immane tragedia delle Sicilia: uomini e donne pronti a dichiarare che 700 persone sono poche, e che, per quanto gli riguarda, potevano morirne pure altre.
Questa non è ignoranza. L’ignoranza si può correggere, ma al cuore spento non c’è rimedio. L’incapacità di immedesimarsi nell’altro genera crudeltà.
Piccolo blu non è un bambino in senso stretto, è una macchia, un concentrato di colore. Certo, nella storia è palesemente un bambino: ha una mamma e un papà, va a scuola, gioca al girotondo… ma che tipo di bambino è? Forse il bambino che tutti dovremmo conservare intatto nel profondo.
E’ forte, piccolo blu; si presenta al centro della pagina e sembra dirci:
“Eccomi, sono quello che sono e non importa se mi trovi strano. Ciao.
Non ti deve importare da dove vengo perché quello che conta adesso è che sono qui, al centro di una pagina bianca. Una pagina che è un mare di possibilità. Un pagina che è una città ancora da esplorare, o un prato in cui giocare; o solo una pagina bianca, uno spazio vuoto. Ma io sto qui, davanti a te e non mi muovo. Eccomi. Esisto. Qualcunque cosa io sia, sappi che ho un amico.”
E il suo amico, piccolo giallo, non è sotto di lui, non se ne sta in un angolo del foglio, né sopra, né sotto. Piccolo giallo sta al centro, vicino a piccolo blu, perché gli amici sono questo: persone alla pari, né più né meno. Gli innamorati danzerebbero in una pagina bianca, esplorerebbero tutta la gamma dei sentimenti dell’amore: la frustrazione, l’esaltazione, la solitudine, l’orgoglio. Gli amici invece stanno al centro, insieme, forti e stabili come il perno che tiene insieme le lancette di una bussola.
Quando sono stanchi o tristi, gli amici stanno sul fondo della pagina insieme, e piangono.
La tristezza che si esprime con le lacrime è preziosa. Tutti noi oggi dovremmo versare lacrime per quegli uomini, donne e bambini annegati tra le onde di un mare già attraversato da innumerevoli storie di viaggio.
Le storie dei migranti sono tutte ugualmente vere e dolorose, siano esse documentate o racchiuse nei miti, ci parlano sempre (e da sempre) di accoglienza, mostri, morte e speranze.
Quando piccolo blu e piccolo giallo piangono vanno in frantumi: piangere è andare laggiù, dove abita il dolore, guardarlo in faccia e sentirsi fragili.
Leo Lionni ci sta dicendo che solo piangendo torniamo ad essere noi stessi, che solo così contattiamo la nostra essenza.
L’assenza di pianto di molte persone di fronte ad una tragedia di queste proporzioni è il grave sintomo di una scissione emotiva profonda che nulla ha a che vedere con il frantumarsi di piccolo blu e piccolo giallo.
Se queste persone riuscissero a piangere quei morti, allora sentirebbero l’abissale differenza tra la loro vita e quella dei naufraghi, distinguerebbero nitidamente il colore della loro anima e forse finalmente proverebbero compassione e tenerezza per l’infinita bellezza del genere umano.
E’ sempre dalla differenza che si genera la compassione, bisogna prima riconoscere se stessi come essere umani, vedere e interpretare il proprio dolore per abbracciare quello degli altri. La paura divide, genera mostri, scinde e marca nettamente il confine tra la luce e l’ombra.
Piccolo giallo ha bisogno di tornare se stesso prima di fondersi nell’abbraccio con mamma (o papà) blu. Saranno loro a capire cosa è realmente successo; piccolo giallo è tornato se stesso, ma la sua energia è così potente da portare in loro la sua verità. L’energia che piccolo giallo emana quando è una gioiosa macchia verde non è paradossalmente altrettanto potente. L’altro lo dobbiamo incontrare in noi e non fuori da noi.
Ed è per questo che il fulcro della storia sta nel pianto di piccolo blu e piccolo giallo. Ognuno è diverso e ognuno piange da solo. Anche se abbiamo un amico vicino, piangere ci fa sentire persi nel mondo perché il dolore è grande e peculiare per ciascuno di noi.
Il dolore porta con sé molte storie e solo dopo averle ascoltate e riascoltate, potremmo riconoscere la nostra unicità. Potremmo allora ricomporci, rimettere insieme i pezzi e scoprire che un amico piange con noi e non per noi.
E se l’amico avrà pianto con noi, sarà più prossimo al nostro dolore di chiunque altro perchè lui pure lo avrà attraversato, a modo suo.
E se nella gioia eravamo insieme sarà ancora più bello ritrovarsi vicini dopo aver pianto, saremo più forti di prima, pronti a portare nel mondo un messaggio di speranza. Solo gli amici piangono insieme perché piangere è un gesto intimo e misterioso.
Avete mai osservato due bambini piangere vicini? Sono due mondi lontanissimi, ognuno chiuso in se stesso, ognuno alla ricerca di qualcosa.
Se la storia di Piccolo blu e piccolo giallo ci ha penetrato davvero, alla seconda lettura, saremo pronti ad incontrare piccolo arancio sapendo immediatamente che anche lui, come piccolo verde, è fatto da due anime, una rossa e una gialla, che giocano insieme.
Due bambini, due macchie, uno sguardo sull’umanità. Senza parlare di intercultura, senza dover puntare il dito sul tema del diverso: l’altro aspetta solo che ci guardiamo allo specchio e ci commuoviamo noi per primi per la nostra straordinaria complessità.
Vorrei che gli abitanti del mare profondo e i fosforescenti cavallucci marini questa notte facessero un cerchio intorno alle anime dei naufraghi e anzichè intonare una canzone antica (come dice il testo della nenia “Alfonsina y el mar” di Ariel Ramirez che vi invito ad ascoltare), raccontassero loro la storia di Piccolo blu e piccolo giallo, perché questa storia possa essere tramandata come un segno di speranza.
Riposate in pace, amici miei.
3 pensieri su “Piccolo blu e piccolo giallo – Albo illustrato”
CHE BELLO ALESSIA, MI SONO COMMOSA.
Grazie, Alessia. Le tue parole mi lasciano sempre qualcosa di bello e positivo. Oggi mi hai commosso.
Elisa
grazie per questa toccante recensione: tocca la verità e quindi anche il cuore e riporta a casa in modo lieve, delicato, come una musica che alleggerisce l’animo