Mark Twain era un padre affettuoso; quasi tutte le sere raccontava alle sue bambine una storia. Succedeva così: lui discendeva dal sesto piano dove lavorava alle sue riviste, si sedeva sul sofà con l’intento di riposare fumando un sigaro, ma… ecco che le figlie, Susy e Clara, lo scorgevano dalla loro stanza, si sedevano sui braccioli della poltrona, una destra e una a sinistra, prendevano una delle riviste appoggiate sul tavolino e chiedevano al padre di inventarsi una storia a partire da una illustrazione.
Anche Philip Stead a più di un secolo di distanza da quella scena famigliare, si ritira a Beaver Island sul lago Michigan, si prepara una tazza di tè, si siede sulla terrazza sul calare della sera e… si fa raccontare una storia da Mark Twain in persona. E come è possibile? direte voi.
Ma non ve ne curate adesso perché la storia è iniziata da un pezzo – anzi da più di un secolo a dire la verità – e Johnny, il protagonista della storia, un ragazzo povero e sfortunato, ha appena deciso di andare a salvare il Principe Margarina e si trova davanti a una grotta sorvegliata da sue possenti draghi che non dormono mai quando Mark Twain ad un certo punto… puf! Sparisce. E questo non sarebbe tanto drammatico se la storia fosse finita, non trovate?
Ma tutto quello che resta, nella realtà, di questa storia è un manoscritto di appunti sconnessi e telegrafici – Vedova, morendo, regala semi a Johnny avuti in passato da una vecchina con cui era stata gentile – trovati per puro caso dal Signor Bird, studioso di Twain, che incappò nella parola Margarina mentre cercava di scrivere un libro di ricette ispirate al celeberrimo scrittore statunitense (e questo devo dire è già abbastanza esilarante).
Philip Stead, in quanto scrittore, non ama – come noi del resto – le storie incompiute, così insieme a sua moglie Erin decide di riscrivere – e concludere – la storia che Mark Twain raccontò alle sue figlie una settimana di tanto tempo fa.
Però bisognava chiedere aiuto, certo. E a chi se non a Twain in persona? Magari offrendogli una tazza di tè in riva ad un lago in una splendida notte di ottobre?
E se poi malauguratamente Mark Twain nel bel mezzo della storia si ostina a sparire in un puf, e a lasciare nuovamente il racconto incompiuto, allora non resta che narrare il resto ad una… donnola.
Sì sì proprio così, avete letto bene, a una donnola (e badate che alle donnole piace soprattutto il finale delle storie). E se ora siete rimasti di stucco, vi assicuro che alla fine del libro vi augurerete anche voi di mangiare come Johnny e Philip il raro fiore azzurro juju e poter così dialogare con gli animali – nessuno escluso.
Questo è un vero libro illustrato dove parole e immagini – splendide – concorrono a intessere una storia che è quasi una fiaba con Re, Regine, Giganti, Fate e naturalmente animali parlanti. Un libro con un meta testo – ovvero una cornice narrativa – importante, ma estremamente divertente – nonché sarcastica – capace di portarvi sulle rive di un lago ad ascoltare una storia e una brillante conversazione tra due scrittori decisamente sui generis.
E all’ultima pagina se avrete ascoltato con attenzione, potrete prendere un bel respiro e un po’ confusi balbettare “Sono felice di essere qui”.
(“che sono poi le parole che potrebbero salvare tutta l’umanità se solo l’umanità le pronunciasse di tanto in tanto pensandole davvero” scrive Philip Stead e che, aggiungo io, varrebbero ugualmente se l’umanità leggesse, di quando in quando, un buon libro come questo senza lasciarsi spaventare dalla lunghezza del testo ma lasciandosi piuttosto sedurre dalla bellezza della prosa e delle illustrazioni.)
Comunque se le pronuncerete – potrete anche dire “Sono felice di conoscervi”- allora saprete di avere un cuore gentile e molti nuovi amici, tra cui annoverare senza tema, Mark Twain. E direi che non è poco.