Sarà qualche mese che pensiamo di scrivere questo articolo.
Arriviamo subito al sodo: Radice-Labirinto è molto copiata, e se questo da un lato ci conferma di essere seguiti e apprezzati, dall’altro ci costringe a reinventarci continuamente per preservare la nostra identità.
Molti degli amici che in questi anni ci hanno inermi davanti a comportamenti poco corretti, ci dicono che l’anima di un posto non può essere presa e incollata da un’altra parte, e noi sappiamo che le loro parole sono vere; ciò nonostante, dobbiamo anche verificare che questa situazione ci influenzi da un punto di vista emotivo.
Per le librerie nate all’epoca di Fb, come la nostra, l’identità è importantissima.
Nell’era di Amazon e di una territorialità sempre più labile, la visibilità virtuale allarga il campo d’azione e spinge a pensare su un piano più vasto. Sulla linea di questo orizzonte però non si è soli, ci sono tutte le altre librerie che, come la nostra, hanno deciso di investire nella comunicazione online.
In questa prospettiva diventa fondamentale distinguersi dalle altre botteghe, indirizzare il lettore, selezionare il proprio pubblico di riferimento e, elemento non trascurabile, fare in modo che le forze impiegate per la comunicazione diventino, in parte, fonte di reddito.
L’identità di un luogo è data da chi lo abita e dalle idee che mette in campo, e le idee sono fatica, tempo e denaro.
Le idee sono libere, non conoscono padrone, una volta espresse diventano di tutti, si diffondono, a volte fanno del bene o diventano, a loro volta, madri di altre idee. Ed è per questo che la libreria ripone e organizza le sue riflessioni nel blog, promuove corsi di formazione, e si rende disponibile al confronto con molti aspiranti librai, perché crede nella bontà delle idee.
Vi scriviamo questo per rendere chiaro che il discorso che segue non nasce da un nostro bisogno di affermazione, ma da due questioni fondamentali:
- dal credere che possa esistere un’etica professionale tra colleghi
- e che si possa contare sul valore della lealtà nel rapporto con le persone.
Difficile conciliare il fatto che le idee circolino con il fatto che altri ne possano fare un uso improprio. Un problema vecchio come il mondo.
Noi su questo tema ci interroghiamo, specialmente negli ultimi tempi, quando gli episodi di plagio nei confronti della nostra libreria, dei nostri progetti, e perfino dell’arredo, sono diventati sempre più numerosi.
Apprezziamo quando le persone ci scrivono dicendoci di essere per loro una fonte d’ispirazione e ci raccontano del loro desiderio di voler aprire una libreria come Radice-Labirinto nella propria città.
Tuttavia oggi non è possibile essere simili e bisogna sforzarsi di trovare la propria strada perché assomigliarsi da un punto di vista comunicativo danneggerebbe entrambe le librerie.
Ogni anno nascono in Italia molte nuove librerie specializzate in libri per bambini e ragazzi, e poiché nessuna, noi compresi, può contare su un pubblico consolidato, l’unica cosa che può portare beneficio a tutte senza pestarsi i piedi a vicenda è la competenza e l’identità.
Siamo consapevoli che non tutte le librerie investano nella comunicazione e che non tutti ritengano l’originalità un valore o una prerogativa necessaria, ma noi siamo qui per dirvi che alla comunicazione e all’identità di Radice-Labirinto teniamo moltissimo, e poiché su entrambe investiamo tempo e impegno.
Cosa si può fare?
Per ovviare inconvenienti spiacevoli si può in primo luogo avvisare o confrontarsi con i diretti interessati e/o, nel caso si decidesse di procedere con progetti smaccatamente “ispirati a”, si può CITARE la fonte della propria ispirazione.
Questo è un modo giusto a nostro avviso per innescare un circolo virtuoso delle idee.
Il pubblico apprezza la sincerità e da un comportamento virtuoso sarà spronato a fidelizzarsi, con buona pace di tutti e una migliore diffusione della letteratura per l’infanzia per la cui valorizzazione noi tutti ci adoperiamo.
Inoltre, come per il caso dei cavalletti-farfalla, non sono solo le nostre idee a essere coinvolte, ma anche quelle di altri. Radice-Labirinto si avvale di fidati collaboratori, come Ilaria Vasdeki per i complementi d’arredo, Made per il sito e Silvia Molinari per le grafiche.
Chi ci copia, spesso sta copiando anche il lavoro di altre persone e noi crediamo che tutti abbiano il diritto di essere pagati o citati per il proprio lavoro, anche quando si tratta di un lavoro ideativo o creativo.
Alcuni, a seguito di una nostra rimostranza, ci scrivono che non ci deve importare molto di quello che fanno, che il loro “ispirarsi” non ci “ruba” alcunché, perché le librerie sono lontane tra loro. Forse in un’ottica territoriale questo è vero, ma pensando a quell’orizzonte comunicativo più vasto che la virtualità spalanca oggi ai nostri piedi, le cose possono assumere prospettive diverse.
Sulle piattaforme virtuali la cosa non finisce mai, il lettore si sbaglia, si confonde, a volte se la prende a male, e tutte le librerie ci perdono in credibilità, stima e originalità.
Un’altra cosa spiacevole che occorre affrontare quando ci si confronta sul tema dell’imitazione in un ambiente come il nostro è il seguente: poiché ci occupiamo di libri, lettura e bambini e i bambini sono intesi, come un unico soggetto e un bene comune, come può una libreria che dice di promuovere le storie e la cultura, non gradire che la propria idea, se buona ed efficace, diventi patrimonio comune?
Alcuni quindi ci chiedono se investiamo nella comunicazione perché ci crediamo o perché ci vogliamo guadagnare.
La risposta che noi diamo forse è troppo semplice o troppo cruda, non sapremmo dirvelo, ma il fatto è che la libreria è sia un luogo culturale che commerciale, quindi promuove e crede nel libro, ma allo stesso tempo deve potersi sostenere economicamente. Non c’è settore commerciale che non utilizzi le idee (e la ricerca) per farsi conoscere e apprezzare.
Più di un lettore nel corso degli ultimi mesi ha confuso qualche nostro progetto con quello di qualcun altro o ci ha segnalato anomalie e copie nel comportamento di altre librerie, ed è stata proprio questa constatazione da parte di terzi a farci capire che le nostre non erano solo impressioni, ma un problema effettivo.
Noi sappiamo quanto lavoro ci sia dietro a libraie e librai che ogni giorno se ne inventano una per farsi conoscere, per avvicinare i bambini alla lettura. Perché allora non rispettare il lavoro di ciascuno?
Penso sia opportuno se si desidera investire nella comunicazione online, mettere tra i propri impegni anche quello di fare una rassegna stampa quotidiana.
Nessuno inventa niente. È vero, ma proprio per questo lo sforzo di rielaborazione deve essere ancora maggiore. Tutti noi abbiamo avuto dei maestri, delle guide; tutti abbiamo frequentato corsi e scuole, ma per sfuggire ad un circolo vizioso di doppioni o copie continui, bisogna tentare di rielaborare, rendere propri i contenuti e i saperi, capire quando certe parole ci appartengono davvero e quando no.
Forse questo articolo è una goccia nel mare, ma volevamo provare a rompere il ghiaccio.
4 pensieri su “Il circolo virtuoso delle idee”
Buongiorno, mi sento di replicare perché diverse idee espresse in questo articolo non mi trovano proprio d’accordo. Prima di tutto “il focolare delle fiabe”: quando avete aperto, nel 2013, l’associazione culturale “Il Teatrino di Mangiafoco” operava già dal 2002 e proprio da quell’anno avevamo iniziato a raccontare fiabe e a fare spettacoli di burattini all’interno della nostra minuscola sede per un piccolo pubblico (max 10 adulti e 10 bimbi). Nel 2013 avete aperto e, con il tempo, avete creato un piccolo angolo di teatro all’interno della libreria. Sono stata io stessa a consigliarvi -inizialmente dovevamo creare “La casetta delle storie” proprio sulla base delle misure del mio teatro- di prendere una vostra strada in questo senso. E così è stato: avete creato un teatrino con i tratti della vostra personalità, ma l’idea di base? Era la mia o la vostra? O semplicemente è nata spontaneamente, così come nascono le idee, ossia osservando e rielaborando quando ci circonda? Io opterei ovviamente per la seconda. Infatti non mi sono mai sognata di dirvi che volevo specificaste che l’idea primaria era nata proprio dalla nostra collaborazione. Nel 2002 eravamo forse l’unico teatrino, a Bologna, a fare spettacoli per un pubblico così piccino. Oggi siamo di più, a bologna e fuori bologna, ma allora? Non mi sento derubata di nulla, forse mi sentirei derubata se qualcuno riprendesse un mio spettacolo e lo ripetesse parola per parola cambiando solo i nomi (cosa che, nell’ambiente dei burattinai, succede fin troppo spesso), ma quando si tratta dei cavalletti a farfalla, che non mi sembrano questa gran novità, dal momento che li ho visti in tutte le salse a partire dagli anni ottanta, mi sembra si parli di poco. Forse, come esempio, avrei trovato più calzante se aveste citato una Libreria X per aver ripreso il titolo del festival “Disegnare una mappa” e l’avesse mutato a suo uso e consumo in, che so, “Tracciare una mappa”, riprendendo pari pari le vostre tematiche. Ma se parliamo di complementi d’arredo, non vedo nulla di così nuovo da poter essere rubato o plagiato. Il mio teatrino è ricavato da un soppalco, proprio come il vostro. Io ho scelto colori cupi (noce antico), come nelle osterie vecchia bologna, e i palchetti a lato della stanza, che dovrebbero richiamare l’assetto del teatro all’italiana. Voi avete scelto un legno dai colori chiari, come da tradizione nordica, e un tetto di vere foglie. Un giorno forse anch’io, quando avrò la possibilità economica per farlo, metterò un tetto di edera (finta), sul soffitto del teatrino. L’idea del tetto di foglie gira nella mia testa dal 1992, ossia quando lessi per la prima volta “Il Barone Rampante”. L’idea della casa sull’albero, della libreria/giardino, mi pare un terreno più volte discusso e battuto. Poi ognuno personalizza l’idea a seconda della propria identità. A volte penso che sia meglio, più che voler trovare una regola etica generale -terreno assai scivoloso- vedersela in maniera diretta e privata con i diretti interessati, autori del presunto plagio.
Ciao Margherita,
poiché ti conosco di persona e poiché sei una nostra collaboratrice, mi ha molto sorpreso leggere questo tuo commento e sentire tra le righe un tono particolarmente ostile.
Contrariamente allo spirito del mio articolo, propositivo e volutamente generico, tu concentri le tue riflessioni su questioni puntuali andando in una dimensione ad personam che io preferivo evitare: primo perché confonde e annoia il lettore, e secondo perché alla fine, tra il mio commento e il tuo, arriveremo a constatare che sarà sempre la mia parola contro la tua.
Avvisando i nostri lettori che dopo il tuo commento ci siamo confrontate in una conversazione privata nelle quale abbiamo continuato, ahimè, a non capirci, risponderò anche in questa sede alle tue considerazioni.
Non mi ritrovo nelle tue parole quando dici che la Casetta delle storie è ispirata al Teatrino, in primo luogo perché al tempo della nostra inaugurazione io non avevo ancora visitato il tuo spazio, e in secondo luogo perché da un carteggio con Ilaria Vasdeki di agosto 2013, in vista della nostra futura collaborazione, risulta una consultazione sul fatto che il tuo teatrino riuscisse o meno a stare sotto al soppalco in libreria, luogo già preesistente. Con “La Casetta della storie”, oggi diventata “Il focolare delle fiabe”, non si indica solo uno spazio fisico, ma un luogo relazionale: può essere una poltrona, può essere un tappeto, una tenda… è il luogo delle storie. Se allora ti abbiamo invitata a narrare in libreria, è perché il tuo modo di narrare era diverso dal mio, da quello di Chiara Tabaroni, di Graziella Redolfi e di tutte le persone che nel tempo sono state ospiti della Casetta delle storie. Tu narri con i pupazzi, io non saprei nemmeno da che parte iniziare. Quindi non capisco davvero questo tuo appunto. Il valore aggiunto di averti in libreria era proprio vedere come una fiaba potesse essere diversa nel cuore di un altro. Ricordi?
Inoltre il burattino porta con sé una poetica oscura (io almeno lo avverto così), che sento molto lontana dalla libreria; forse è per questo che mi sono ispirata al nord Europa, perché sentivo il bisogno di luce. Del resto, è proprio in virtù di questa “lontananza” tra le nostre poetiche di base che trovavo interessante collaborare con te. Delle nostre due diverse energie ci è capitato sovente di discutere, e di queste nostre conversazioni io trattengo ricordi molto piacevoli, spero sia così anche per te.
Riguardo ai cavalletti, nel mio discorso, se ho capito bene, contesti il fatto che uno debba sentirsi in debito con noi o che non possa fare la stessa cosa se questa è già presente a Radice- Labirinto; e che se poi si decide, più o meno coscientemente, di realizzare la stessa idea, ci si debba sentire costretti a citare la libreria o l’autore del progetto. Mi pare di capire che tu trovi questo atteggiamento molto snob e poco rispettoso di tutti quelli che sono venuti prima di noi e verso i quali, magari senza saperlo, saremmo debitori. Per le stesse ragioni trovi dunque il terreno su cui si articola il mio pensiero molto scivoloso.
Nell’articolo in primo luogo non si dice che nessuna libreria debba mai più essere fatta in legno perché è così Radice-Labirinto: si parla di complementi d’arredo, di oggetti specifici che trovano una forma specifica in un determinato ambiente, ovvero la libreria. E si sottolinea che questi oggetti sono stati disegnati da Ilaria Vasdeki, un architetto di cui sul nostro sito si parla diffusamente.
Io posso dire, in coscienza, di non avere mai visto cavalletti simili ai nostri e tu, altrettanto in coscienza, puoi dire di averne visti a bizzeffe: e arriviamo di nuovo alla mia parola contro la tua, in un clima che diventa sempre più da deposizione giurata e che perde di vista la questione centrale. La questione centrale non è l’esistenza precedente di oggetti analoghi, a Bologna, dove dici di averne visti tanti e da così tanto tempo, o altrove, bensì il fatto che quei cavalletti, come gli altri complementi d’arredo, sono parte di una visione specifica al contesto di Radice-Labirinto, sono cioè l’espressione materiale della sua identità. La stessa cosa succede quando si prendono parti dei miei articoli, o parte dei tuoi copioni, per scrivere altri progetti e magari venderli ad altre librerie. E’ l’identità che si dissolve o si annacqua, l’anima delle cose. Senza contare come scrivevo che dietro alle idee c’è il lavoro di molte persone. Se tu al Teatrino inauguri un ciclo di serate sui temi dell’infanzia, mica io ti vengo a dire che hai copiato le 80 lune! L’articolo è molto preciso sul quando e perché è dannosa la copia.
E qui sta un altro punto del mio articolo che forse non hai letto con attenzione: il problema in questione non è quando un’idea si diffonde e crea cultura o nuove idee, ma quando le idee sono spese per trarne un profitto personale.
Lo ripeto: la libreria è anche un luogo commerciale, come lo è il tuo teatrino, perché è con il nostro lavoro che cerchiamo entrambe di portare a casa uno stipendio. E’ anche un luogo culturale certo, ma allora dove sta il confine tra quello che è lecito fare e prendere e quello che non lo è? Ben venga la scuola che ha fatto sul suo angolo lettura un soffitto verde, ma meno bene, a mio avviso, quando è un altro esercizio commerciale (per altro analogo) a fare lo stesso. E anche se non ho fatto nomi e non intendo farli, ti assicuro che mi riferisco a casi eclatanti. Questo è ovviamente il mio punto di vista e tu puoi non essere d’accordo o avere, come mi hai scritto, un’etica professionale differente. So anche molto bene che con il mio articolo, come mi hai detto al telefono, io rischio di sembrare megalomane (e forse paranoica), ma ho preferito correre questo rischio perché, dopo essermi a lungo interrogata su tali questioni, sono certa che la megalomania non c’entri nulla. C’entra invece un’idea più ampia, che non coinvolge me in prima persona (le mie idee, i miei progetti…), ma la libreria (e forse non solo la mia) e che vede al centro del ragionamento non una critica feroce, ma quel circolo virtuoso delle idee che spero davvero si possa innescare. Sono consapevole che quello del plagio e della copia sono argomenti tabù, perché come scrivi, sono terreni molto scivolosi; ma io ho provato a rompere il ghiaccio e so l’ho fatto è perché sapevo di non essermi mai comportata in modo scorretto con nessuno, nemmeno con te. La poetica della nostra libreria, del focolare, delle storie si è sviluppata in trasparenza e sempre alla luce del sole, le sue tracce sono leggibili sul sito.
Cara Alessia,
grazie per la tua garbata e puntuale risposta.
Prima di tutto ti rassicuro: ho letto con grande attenzione il tuo articolo e la replica nasce proprio da un’attenta lettura di esso. Solo che, a volte, la lettura di un articolo può generare una posizione di disaccordo da parte dei lettori, non solo di ammirazione e condivisione! Non ostilità, ma disaccordo. In passato abbiamo collaborato, ma non credo che questo c’entri qualcosa… Siete stati citatissimi sul mio sito, e sempre con parole di lode. Vi ho pure dedicato una puntata di un’ora e mezza su YouTube https://www.youtube.com/watch?v=RZ_-SKFs9Bw con tanto di intervista ecc ecc… Non credevo che l’aver collaborato ci costringesse ad essere sempre dalla stessa parte. Anzi, in passato tu stessa hai mosso critiche in maniera molto diretta. Quindi?
Tornando all’articolo, temo che sia tu a non aver letto con attenzione quanto ti ho scritto (e che ho cercato di spiegarti anche al telefono). Non ho mai detto che la Casetta delle Storie copia il Teatrino! Anzi, tutto il contrario. Ti copio incollo il passo che penso tu abbia frainteso: “…avete creato un teatrino con i tratti della vostra personalità, ma l’idea di base? Era la mia o la vostra? O semplicemente è nata spontaneamente, così come nascono le idee, ossia osservando e rielaborando quando ci circonda? Io opterei ovviamente per la seconda”. Con “opterei per la seconda” intendevo quindi che Casetta delle Storie nasce da una rielaborazione/osservazione della realtà circostante e, casualmente, anche se viene dopo in termini di tempo, finisce per replicare -con modalità del tutto differenti- l’idea del focolare delle fiabe che io -e molti altri- portiamo avanti da anni prima della nascita di Radice Labirinto. Cosa significa? Significa che, a volte, dato che le idee veramente originali sono davvero poche e al mondo siamo davvero tanti (c’è un bel passo sulle idee all’interno de “L’immortalità” di Milan Kundera, ti consiglio di leggerlo), capita che a due persone, in tempi differenti, venga la medesima idea ed entrambi la mettano in pratica. Nessuno ha copiato, semplicemente è venuta la stessa idea! Era quello che ho provato a spiegarti relativamente al tetto di foglie: voi l’avete già fatto, ma io ci penso da sacco… dopo la nostra conversazione mi è venuta in mente (pensa un po’) una libreria /giocattoleria che vidi a New York nel 1999. Si chiamava “La città incantata”, c’erano foglie d’edera ovunque e un soppalco pieno di giocattoli e libri. Tu scrivi che la differenza è data voler trarre o meno un profitto personale dalle idee ispiratrici. Ma, se le cose stanno così, noi, a quanti siamo debitori, a nostra volta? E senza saperlo! Ovviamente io, come te e come mille altri, cerchiamo di sopravvivere in questo non facile mondo. E, per farlo, cerchiamo di offrire il meglio ai nostri clienti/pubblico. Perdonami Alessia, ma copiare un articolo senza citare la fonte o copiare la sceneggiatura di uno spettacolo, lo ritengo ben più grave e più dannoso che non copiare un complemento d’arredo; che sì, sarà pure importante, ma gli oggetti -e qui c’è la mia poetica di burattinaia-, assorbono l’anima di chi li crea. Un cavalletto creato da un architetto romano non potrà mai essere uguale a quello creato da un artigiano trentino. E via dicendo… In che maniera la copiatura di un complemento d’arredo può portare alla perdita economica di un’azienda? Il plagio, come vedi, rimane un terreno di discussione molto scivoloso… e mi permetto di raccontarti un aneddoto che ben riflette la mia posizione in merito: un burattinaio “rubò” ad un celebre burattinaio un intero spettacolo; non cambiò nemmeno i nomi dei personaggi! Ripenso sempre con piacere a quello che mi disse il celebre burattinaio in merito alla questione: “chi mi conosce sa come lavoro e sa distinguere fra le due copie”. L’obiezione che gli si sarebbe potuta muovere era : e chi non ti conosce? Chi non ti conosce confonderà il tuo lavoro con quello dell’altro. Magari comprerà il lavoro dell’altro. Orrore e abominio! Ma il suo atteggiamento era quello delle persone piene di un tesoro così grande e così intangibile, che non teme e non potrà mai temere di essere derubato. Perché lo spettacolo, recitato da lui, era e rimarrà sempre del tutto differente da quello del burattinaio “copione”. Non a caso questo burattinaio, Gaspare Nasuto, è uno dei massimi guaratellari a livello mondiale. Così la vedo io. Buon lavoro
Credo che giunti a questo punto della discussione, e dopo aver appurato che nessuna delle due abbia frainteso le parole dell’altra, si possa constatare che ci troviamo su posizioni differenti rispetto al problema di partenza. Potrei ribattere ancora quanto scrivi (e credimi mi costa fatica non farlo), ma penso che questa non sia più la sede opportuna per il nostro dialogo che rischia di diventare troppo personale per suscitare l’interesse del lettore. Augurandomi che da questo scambio possa nascere qualcosa di buono, ti auguro un autunno ricco di storie.