Capita nelle sere d’estate di prendere tra le mani un libro a cui non avevi prestato troppa attenzione.
E dire che lo sai che l’autrice è rinomata, che di quel libro in molti ne hanno parlato e che questo racconto avrebbe dovuto già essere tra le tue letture da tempo, ma chissà poi perché è sempre rimasto lì, nascosto da altri libri sullo scaffale domestico affollato dai tuoi tanti “leggeró”.
Poi arrivano le indolenti, e calde, sere di luglio, stravaccata sul divano a guardarti intorno, a osservare le ombre sul soffitto mentre speri in un alito di vento dalla finestra spalancata nonostante l’aria condizionata; quindi allunghi svogliatamente il braccio allo scaffale, tamburelli le dita sulle coste dei libri più vicini e cedi al primo, che come un dentino da latte, si sfila dal mucchio. Così ho iniziato a leggere, giusto ieri sera,“Gesù come un romanzo” di Marie-Aude Murail.
È un piccolo Vangelo, narrato da Simone di Cafarnao , poi rinominato Pietro; un racconto delicato ed educato della vita di Gesù da quando inizia a predicare a quando viene crocifisso.
Io che molte volte ho letto i Vangeli, prediligendo la voce di Luca, ho subito pensato: perché mai rinarrare l’ultimo anno di Gesù quando i vangeli sono libri meravigliosi e assolutamente alla portata di tutti?
A questa domanda non ho ancora dato una risposta ed è per questo che sono qui a ragionare con i miei lettori;
so però che la scrittura pulita della Murail lascia dentro una sensazione di sincerità e di rispetto non solo verso il suo libro, ma verso la figura di Gesù. Non c’è mistificazione nelle sua scrittura e nessun cedimento al sentimentalismo nè al fideismo: i fatti sono fatti, per quanto pieni di grazia divina. Se un miracolo c’è stato del miracolo si racconta; se Gesù parlava di Dio come di suo Padre, di questo Pietro racconterà.
E la cosa sorprendente è che, così come accade per i vangeli, i semplici fatti hanno il potere della rivelazione.
Certo, spesso, chi oggi, in una sera d’estate, legge i vangeli di sua sponte, è quasi sicuramente un fervente cristiano, e questo potrebbe già di per sè bastare a far apparire i fatti di quei racconti più che semplici fatti; ma incontrare la vita di Gesù in un libro, sullo scaffale di una libreria laica, e leggerla come si farebbe in un vangelo, come se fosse un romanzo – appunto – rende quegli stessi fatti non tanto più reali ma più autentici, come se l’arte della scrittura portasse con sé qualcosa di sacro a priori, vuoi solo per il motivo che ha il potere di trasmettere storie, cosa che alcuni potrebbero già definire un miracolo.
Leggere una storia, leggerla in un libro (e qui non posso fare a meno di pensare che la Bibbia è definita “il libro dei libri”), leggere la vita di Gesù in un libro, ha il dono di rendere tutto più vero.
Un miracolo? Può essere, ma quel che è certo è che Marie-Aude Murail non ha barato: non ha scritto questo libro per i “giovani”, non ha usato un linguaggio fintamente amichevole e sornione, non ha ceduto nemmeno a una versione “romanzata” dal punto di vista di Pietro.
Ha tenuto invece un equilibrio perfetto, è riuscita – e questo durante la lettura può essere un po’ spiazzante – a riscrivere i vangeli senza scimmiottarli, tanto che, come dicevamo all’inizio potrà capitare di chiedersi: perché rinarrare la vita di Gesù quando i vangeli lo fanno già così bene?
Ecco io credo che il nodo gordiano di questo libro sia in questa domanda senza risposta.
Ma si sa, sono proprio le domande senza risposta che fanno della letteratura una buona letteratura.