Favole al telefono di Gianni Rodari con le illustrazioni di Bruno Munari Einaudi Edizioni Prima edizione 1962
Il ragionier Bianchi, di Varese, rappresentante farmaceutico in giro per l’Italia, ogni sera, alle nove in punto, racconta una favola al telefono alla figlioletta che non riesce a dormire. Le storie, lunghe un gettone, sono così belle che le centraliniste interrompono il loro lavoro per ascoltarle.
Ricordo ancora quali erano le mie preferite: Brif bruf braf, Il signor Falaninna, La febbre mangina, Alice Cascherina, A sbagliar le storie, Le marmellate dell’Apollonia, Il segreto di pulcinella, La signora che contava gli starnuti, il semaforo blu, Il Re Mida, Giacomo di Cristallo, A giocar con il bastone, il filobus numero 75 e La passeggiata di un distratto.
A dire il vero, penso di sapere a memoria quasi tutte le favole al telefono di Gianni Rodari, ma a quelle sopra elencate sono ancora particolarmente affezionata. E non ricordo bene solo le storie, ma anche ogni piccolo disegno di Bruno Munari.
Ecco, se oggi dovessi spiegare ad un bambino cosa sia la creatività, vi direi di guardare i disegni che Bruno Munari ha pensato per le Favole al telefono.
Ad un primo sguardo potranno sembrarvi degli scarabocchi o dei disegni appena abbozzati; eppure quei disegni veloci sono talmente potenti nella loro semplicità da imprimersi nella memoria senza alcuna fatica.
Sono così preziosi da farvi riflettere sul fatto che, a volte, ciò che rende perfetta un’illustrazione, oltre alla tecnica e allo stile, è l’idea stessa. L’idea è la potenza di un’opera che prende forma, è il nucleo pulsante capace di accendere una scintilla nello sguardo del lettore, è il non-fare primigenio in grado di trasformare un piccolo tratto su un libro in un capolavoro.
In effetti si potrebbe dire che ciò che attraversa i disegni di Bruno Munari sia esattamente il lampo di un’idea, un’intuizione veloce che comunica, in un’istante, l’anima delle favole di Rodari.
Giacomo di cristallo è il volto di un bambino con le orecchie a sventola e un pesce capovolto disegnato sulla sua fronte. Il tratto è rapido, e l’unico colore è quello della graffite della matita. Ma quando ripenso a quel pesce, anche oggi che bambina non sono più, me lo figuro di colore rosso e, rimango sempre colpita quando, sfogliando il libro, scopro che rosso non lo è affatto. Il rosso di quel pesce – che rosso non è – sarà forse la palla di fuoco che rotola nei pensieri di Giacomo la prima volta che dice una bugia?
Sarà quel che sarà, ma tutta la storia di Giacomo di cristallo è condensata in quel volto con il pesce in mezzo fronte. Niente di più semplice e di più efficace.
E questo vale anche per la bambola disegnata vicino al titolo della Febbre mangina, per il povero Re Mida seduto in un cerchio rosso fuoco, per le frecce del Giovane gambero.
Forse Bruno Munari ha inizialmente pensato ai disegni de “Le favole al telefono” come a degli schizzi veloci lasciati dal Ragionier Bianchi su un foglietto occasionale mentre inventava al telefono le storie per la figlia lontana.
E’ nato prima il disegno o la storia? Verrebbe da chiedersi.
E tanto si è fusa la loro creatività nelle pagine di questo libro, che fin da piccola mi immaginavo Bruno Munari illustrare le favole di Gianni Rodari mentre questo gliele raccontava al telefono; semplicità con semplicità, ingegno con ingegno, pensiero con pensiero.
E poi scopro, molti anni più tardi, studiando la letteratura per l’infanzia, che andò proprio così.
Giulio Einaudi, spinto da una felice intuizione, decise di affidare il volume delle Favole al telefono al grande designer italiano Bruno Munari, il quale sembrava condividere, se non anticipare, il programma della “fantastica” di Rodari, programma che il grande pedagogista piemontese, renderà esplicito, nei primi anni ’70, con la sua “Grammatica della fantasia”.
Prima di accettare l’incarico, Bruno Munari volle accertarsi che le favole funzionassero davvero al telefono, così se le fece leggere da Gianni Rodari in persona. E mentre ascoltava, con la cornetta tenuta stretta fra l’orecchio e la spalla, Munari scarabocchiava su un foglio usando una matita rosso-blu e una grigia. Disegnava proprio come capita a molti, quando sono al telefono e scarabocchiano qualcosa sovrappensiero.
“La parola agì” e la mano dell’illustratore seguì i moti suggeriti dalle parole, e fu proprio così che nacquero i bellissimi “schizzi” di questo libro ormai divenuto un classico.
Nel corso degli ultimi cinquant’anni sono state redatte molte altre edizioni della Favole al telefono: illustratori come Altan, Simona Mullazzani e perfino il grande Quentin Blake sono stati chiamati ad illustrare questa raccolta di piccoli capolavori, ma nessuno di loro è riuscito, a mio avviso, a rendere con altrettanta eloquenza e altrettanto talento la vera essenza delle Favole al telefono come Bruno Munari.
Per questo in libreria teniamo solo le edizioni illustrate da Bruno Munari, quelle con la copertina bianca al centro della quale campeggia la mascherina numerica di un telefono a gettoni.
Molti bambini non possono ricordare come erano fatti i vecchi telefoni, ma noi, librai nati negli anni ’70, rammentiamo bene le lunghe file alla cabina telefonica quando d’estate si andava in vacanza con i nonni, e ti venivano affidati quei pesanti gettoni color bronzo con la scanalatura centrale del valore di 200 lire, in grado di imprimere alla tua mano il loro odore ferroso ben più a lungo del tempo della telefonata. E ricordiamo anche il vecchio e buon telefono di casa grigio con la tastiera girevole e la cornetta con il filo sempre troppo corto… quante storie ascoltava quella cornetta! Mentre la mamma in sottofondo intimava di chiudere perché si stava spendendo troppo di bolletta. Ma con le “Favole al telefono” di Gianni Rodari l’unico rischio che si corre è quello di volerne ascoltare ancora e ancora prima di chiudere gli occhi… tanto sono gratis.
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