Per un bambino il rituale è di estrema importanza. Attraverso i gesti quotidiani, ripetuti e sapienti, i bambini imparano gli alfabeti della realtà, indispensabili per dialogare con il tempo presente e con le persone che lo abitano.
Nell’albo “A caccia dell’Orso”, illustrato da Helen Oxenbury e scritto da Michael Rosen, e finalmente ristampato da Mondadori, l’idea di rituale è ben esplicitata. Un papà con i suoi bambini parte a caccia di un orso e il testo è scritto sotto forma di filastrocca. Cosa c’è di più ripetitivo di una cantilena per bambini?
Con il “Girotondo” o con “Oh che bel castello”, tanti bambini hanno appreso il gusto della rima, ma non solo. Attraverso procedimenti solo in parte consapevoli, le canzoncine e le filastrocche insegnano il senso della misura e del ritmo e quest’ultimo, a sua volta, aiuta la memoria e il corpo a coordinarsi.
Così Il movimento si fa mano a mano più sciolto e preciso e grazie a ciò impariamo ad esplorare con sempre maggior sicurezza ambienti diversi acuendo ad un tempo il senso dell’ordine e dello spazio. E’ una concatenazione di eventi che sembra ripetere sul piano pratico ciò che la cantilena fa sul piano teorico, cioè inanellare parole e gesti.
Ed è proprio all’immagine di tanti anelli via via intrecciati che viene da pensare mentre si legge “A caccia dell’Orso”. Ogni azione viene preceduta dalla filastrocca “A caccia dell’orso andiamo. Di un orso grande e grosso. Ma che bella giornata! Paura non abbiamo.”
L’azione da compiere, che sia quella di attraversare un “campo di erba frusciante” o di guadare un fiume, è a sua volta caratterizzata da un’altra cantilena: “Non si può passare sopra. Non si può passare sotto. Oh no! Ci dobbiam passare in mezzo!”.
Anche noi siamo invitati a passare “in mezzo”: sembra di non poter sfuggire al ritmo incalzante del testo.
Così, suggestionati dalla forza dell’onomatopea, affrontiamo tempeste di neve, boschi fitti e terreni paludosi. La filastrocca va avanti aggiungendo ogni volta un elemento nuovo. Le illustrazioni ci dicono di non temere, perché non siamo soli.
La Oxembury ci dipinge una famiglia allegra e unita, dove ognuno è di aiuto all’altro persino quando l’impresa sembra impossibile o ci si imbatte in un grande orso.
La figura di riferimento è un papà complice e vigile.
L’adulto in queste illustrazioni appare come una chiave di lettura: si ha infatti l’impressione che ciò che sta avvenendo sia soltanto la visualizzazione di parole recitate e che di fatto la famiglia non sia mai uscita dal grande letto della tavola finale.
Pensiamo ad un padre che, come ogni sera, recita la filastrocca che i figli amano tanto e la racconta così bene da far sembrare vero ciò che dice. Oppure si potrebbe trattare di un gioco fatto all’aperto, in un prato che via via si complica in scenari sempre più improbabili (tempeste di neve, orsi che ci inseguono); ma in fondo quello che importa è il potere evocativo del testo e il fatto che un adulto (coinvolto e coinvolgente) ci guidi nel gioco. E’ un adulto presente che sa riconoscere l’importanza di un rituale e che partecipa attivamente ad un gioco che è fatto sempre dalle stesse parole e dagli stessi gesti.
Ad avallare questa lettura notiamo l’alternanza di tavole in bianco e nero e tavole a colori.
L’illustratrice dipinge con toni più vividi le pagine in cui si affrontano avventure, i momenti in cui siamo cioè guidati dalla fantasia. Il bianco e nero invece da peso e spessore ai momenti di riposo e di preparazione, quelli cioè legati al mondo reale.
Sono i colori a guidarci e a portarci fino all’illustrazione finale dove fantasia e realtà ci appaiono finalmente intrecciate nella quotidianità. Il climax della filastrocca coincide con il momento di massimo coinvolgimento e lì, in quel lettone, quando tutti provano la stessa emozione, riusciamo a percepire il presente in tutte le sue sfumature.