È arrivato in libreria quasi in sordina: il teschio di Franco Matticchio in copertina ce lo ha subito reso simpatico e il verme affacciato all’orbita vuota sembrava sfidarci alla lettura.
La sfida era reale, non solo per quel teschio che disarma i lettori (gli adulti si intende), ma per la fisionomia tutta del libro: 56 racconti brevi con poche illustrazioni a china in bianco e nero.
Chi lo avrebbe mai acquistato senza l’aiuto di un amorevole libraio?
A Radice-Labirinto lo vendiamo come il pane.
Poi la svolta: prima di Natale il libro viene candidato come finalista al premio Strega.
Lo scatolone del nuovo ordine arriva felice in libreria. Apriamo il pacco ed eccola lì, la temibile fascetta che recita “Finalista al premio Strega per la fascia 11-13 anni“.
Io e Dario ci guardiamo allibiti.
Il primo pensiero va a tutte quelle manine – la metà delle nostre per dimensione – che il mese precedente sono uscite dalla libreria stringendo al petto Ultimo venne il verme di Nicola Cinquetti: non lo abbiamo mai consigliato sopra agli 8 anni.
Il nostro pubblico d’elezione per questo libro? Dai 4 ai 7 anni.
Abbiamo sbagliato qualcosa?
Decidiamo dunque di rileggerlo, ma, niente, sono i bambini di età prescolare e delle prime due classi di primaria a guadagnarsi il libro. Perché?
Dareste voi le Favole al telefono di Gianni Rodari ad un bambino di 11 anni?
Direi di no. L’undicenne dovrebbe aver avuto la fortuna di incontrarla prima la bella prosa e la bella fantasia di Gianni Rodari, non credete?
Bene.
Nicola Cinquetti è riuscito con Ultimo venne il verme a restituirci la stessa leggerezza, la stessa poeticità, la stessa ironia del racconto breve degno del grande maestro di Omegna.
Cinquantasei racconti da gustarsi come cioccolatini, alcuni dal sapore più dolce, altri leggermente aciduli e alcuni con un punta di peperoncino.
Un libro da sfogliare passo a passo o da consultare all’indice cercando il titolo che ci ispira di più; cosa preferite? Andare in ordine o saltare da un disegno all’altro di Matticchio? Sono schizzi anche i suoi, come li furono quelli di Bruno Munari per le Favole al telefono, suggestioni veloci – benché più didascaliche rispetto all’impronta munariana, ma mai scontate – lasciate a fondo pagina, a matita, in calce a quasi a tutti i racconti.
I racconti sono deliziosi: da Tre volte bau, a Sette per trette, da L’orso non dorme (un vero e proprio omaggio alla lettura) ad Aurelio abbraccia la Luna.
Il lettore si troverà davanti ad una lunga carrellata di scenari e situazioni differenti, sorriderà , si commuoverà, si immergerà in un libro che, come una scatola di cioccolatini assortiti, si vorrebbe non finisse mai.
Il racconto breve non è un genere facile, occorre rimanere lievi, planare sulla trama, vedere fin dall’inizio tutto il panorama per seguire il sentiero migliore, bisogna possedere una scrittura limpida capace di condurre il lettore parola per parola nella storia, provocare in lui il desiderio di leggere quelle parole a qualcuno.
Perché il racconto breve, se è buono, è molto piacevole da condividere, da snocciolare a bassa voce ad un bambino o ad un amico. Ha il sapore di una piccola parabola, ma senza la morale, una storiella da tenere in tasca per i momenti migliori (o peggiori), parole inanellate così bene da essere donate come una collana di perline. Nicola Cinquetti riesce perfettamente a farti amare le storie e la lingua, ti prende per mano e ti dice, fin da subito (ma del resto il teschio ci aveva avvisati), di stare attento a dove metti i piedi perché il sentiero è imprevedibile: qui un finale inaspettato, là il brivido del non-sens, e giù in fondo alla collina un po’ di delicata poesia per godere insieme di un bel tramonto, ops!, di un bel finale.
Il formato è tascabile, la sovracoperta protegge il libro nei viaggi vacanzieri, le illustrazioni sono dei cammei invitanti e alleggeriscono la paura (ancora una volta degli adulti) delle “troppe parole”, anche se poi ci si troverà a sospirarne altre.
Una prosa scorrevole, una scrittura di una delicatezza inusuale per questi tempi (una carezza direi), un libro che non può mancare e che forse mancava, dato che in molte scuole dell’infanzia e in molte librerie domestiche sono spariti i libri con un segnalibro (e parlo di case abitate da bambini sotto i sei anni).
Ah! A proposito…cestinate la fascetta per favore se non volete che l’undicenne, o peggio, il tredicenne, usino il libro come un mattone da lancio.
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