Questa recensione verrà inserita nella rivista “Scelte di classe” a cura di Hamelin
Pubblicato per la prima volta nel 1968 dalla HarperCollins, The Tiger Who Came to Tea vede finalmente la sua edizione italiana grazie alla casa editrice Mondadori; nonostante siano passati quasi cinquant’anni dalla prima pubblicazione questo libro continua ad esercitare il suo fascino. Difficile svelare il segreto di un albo così ben costruito e ben illustrato, poiché le buone storie si mostrano come nuove ogni volta che le si legge, nascondendo il loro trucco magico anche agli occhi del lettore più accorto. E per quanto io sia dell’avviso che i buoni trucchi non vadano mai rivelati e che bisognerebbe preservare il più a lungo possibile la meraviglia del lettore, mi piacerebbe provare a vestire i panni dell’ingénieur, ossia del creatore di trucchi, per dare qualche indizio del prestigio compiuto da Judith Kerr, perché è indubbio che di magia si tratti. E come per la magia più sopraffina, dove il trucco consiste nel mettere sotto il naso dello spettatore tutto ciò che serve per l’incanto, anche nel caso di Una tigre all’ora del tè ciò che rende davvero interessante la storia è l’equilibrio tra la normalità e l’eccezionalità.
Il campanello suona, chi può essere? Il lattaio? Il fattorino? Il papà? Nessun inganno nelle parole e nelle illustrazioni di Judith Kerr perché la promessa, ovvero la parte iniziale del prestigio, deve essere semplice, vi deve apparire normale, dovete poter credere che la cosa possa accadere. Poi la svolta: l’illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Il campanello suona e la tigre entra in scena con grande disinvoltura. Lo spaesamento aumenta perché Sophie e la mamma non sono affatto spaventate dalle circostanze, anzi, con il loro invito pronto e gentile non sembrano escludere, dall’ordine naturale delle cose, che una tigre possa palesarsi all’ora del tè. Dunque eccola lì, una tigre grande e grossa, tutta strisce, che si mangia biscotti e pasticcini scolandosi latte e tè mentre accetta di buon grado le attenzioni di Sophie per poter svuotare in santa pace frigo e dispensa. E poi sul più bello, la tigre, una volta sazia, saluta educatamente e se ne va. Non è successo nulla di quello che ci aspettavamo: la tigre non si è mangiata nessuno, non ha scatenato il panico e non è nemmeno diventata un gattone domestico. Così come è arrivata così se ne è andata, e tanti cari saluti.
Dunque cosa resta? Avete visto voi l’inganno? Forse no, ma siete sicuri che l’incanto sia avvenuto perché ogni buona magia lascia dietro di sé delle prove che testimonino il suo passaggio, come la monetina che il prestigiatore lascia cadere nella vostra tasca. La cucina è a soqquadro, la vasca da bagno senza più acqua. Così Sophie è costretta a mettersi il pigiama senza lavarsi (davvero una disdetta per un bambino!). Il papà seduto comodamente in poltrona, ascolta l’accaduto con un’espressione che tradisce un certo rammarico per non essere stato presente ad un evento tanto straordinario. Dunque bisognerà mettere il cappotto sopra al pigiama per andare fuori a cena, passeggiare tra le luci della sera a braccetto con mamma e papà, e mangiare patatine e gelato per consolazione. Quindi non vi è dubbio: la tigre c’è stata davvero. Ma voi state ancora cercando il segreto della storia.
Con la semplicità delle parole, guidata da un segno a matita e china senza esitazioni, Judith Kerr disegna la sua magia, ci porta con semplicità dentro ad un quotidiano straordinario, raccontando senza sbavature ciò che accade. È tutto sotto i nostri occhi, come se una tigre all’ora del tè fosse la cosa più normale del mondo, come se una storia non avesse bisogno di null’altro se non di essere raccontata per diventare vera. E non è forse così? Nessun messaggio edificante, nessun artificio, scarna la scenografia, essenziale la trama: eppure non c’è bambino che non ceda al fascino di questo libro. E il prestigio? Perché far sparire qualcosa non è sufficiente, bisogna anche farla riapparire. Ecco perché ogni numero di magia ha un terzo atto, la sua parte più ardua, il momento speciale capace di far perdurare la magia ben oltre la chiusura del sipario, ben oltre l’ultima pagina. Il prestigio di Judith Kerr è farci sapere che il supermercato vende enormi scatole di biscotti per tigri. Quale supermercato infatti venderebbe biscotti per tigri se non ritenesse possibile che una tigre si presenti per l’ora del tè? Il più sarà farla riapparire: tornerà a trovarci? Al lettore la prossima magia.
Le grandi domande del libro
Il fascino che l’albo di Judith Kerr esercita sui lettori, risiede nella costruzione di una storia che si snoda libera da qualsiasi morale omessaggio. Questo non significa che Una tigre all’ora del tè sia un libro privo di valore, anzi! In un tempo dove l’attenzione al messaggio nei libri per bambini si fa via via più pressante, Judith Kerr, che scrive e disegna il suo libro nel 1968, riporta il lettore, cinquant’anni dopo, a contemplare la storia, a immergersi in essa lasciandosi trasportare da immagini e parole senza la necessità di insegnare qualcosa. C’è chi leggendo Una tigre all’ora del tè potrebbe pensare al tema dell’accoglienza, della diversità, dell’inclusione, ma onestamente sarebbe una forzatura – e invero un grande peccato – voler piegare questo albo magnifico ad una visione pedagogica. Credo invece che Judith Kerr voglia donare ai bambini un’incursione felice nel suo immaginario, un volo spensierato e leggero tra le pagine, un divertimento che nasce davvero dal “divergere” dalla realtà. Se la seguiamo senza indugiare troppo, scopriremo certamente l’incanto di una buona storia e la travolgente malìa che il nonsense esercita sulla fantasia infantile.
Scrive Lewis Carroll
“…improvvisamente un Coniglio Bianco con gli occhi rosa le passò di corsa a fianco. Non c’era nulla di tanto notevole in ciò; né parve ad Alice poi tanto fuori dall’ordinario udire il Coniglio che diceva tra sé :”Povero me!Povero me! Arriverò troppo tardi!” […] Un istante dopo Alice lo inseguiva là sotto, senza riflettere neanche per un momento come diavolo avrebbe fatto a tornarsene fuori”
Un tuffo senza tanti perché, quello di Alice. Ci fidiamo della penna di Lewis Carroll? Certo! Perché, solitamente, i lettori si fidano delle buone storie e le buone storie si fidano dei lettori: esse sanno che a bussare all’immaginazione dei bambini, più di una porta si socchiuderà. E non solo: le buone storie sanno anche che occorre sempre lasciare al bambino la scelta di seguire o meno lo spiraglio luminoso disegnato sul pavimento. Solo nella libertà infatti possiamo inventare, accendere i fuochi delle idee, intrecciare sentieri, seguire le incandescenze che ogni storia, pur nella sua lievità, porta con sé. Invitiamo dunque la tigre ad accomodarsi in cucina, offriamole dolcetti, lasciamole svuotare la dispensa, e aspettiamoci di essere ricompensati da tanta disinteressata generosità con un dono altrettanto inaspettato.
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