Questo articolo introduce la seconda parte dedicata alle bibliografie di Radice-Labirinto. Dopo avervi presentato un esempio di bibliografia ragionata partendo dal tema della famiglia (Parte 1 e Parte 2), vorrei ora parlarvi delle bibliografie intrecciate che sono un’idea nata a Radice-Labirinto.
L’idea delle bibliografie intrecciate nasce dall’osservazione di due pratiche molto diffuse nei nidi e nelle scuole d’infanzia: la prima è quella che vede la classe – ma a volte anche l’intera scuola – scegliere un libro che possa diventare il contenitore privilegiato dei progetti didattici di tutto l’anno; la seconda pratica è invece quella che consiste nel battezzare un albo che possa accompagnare i bambini nel passaggio dal nido alla scuola dell’infanzia o dall’infanzia alla scuola primaria, il così detto “libro-ponte” ( pratica in voga più nei piccoli paesi che nelle grandi città).
I libri che solitamente vengono scelti per questo genere di prassi educative sono albi narrativi, dai contenuti lineari e spesso moraleggianti, che contengono messaggi chiari e poco complessi, quindi facilmente condivisibili, semplici da tradurre e da trasmettere. Sono albi che presentano anche una certa tendenza alla riproducibilità, ovvero libri che permettono di essere rielaborati e reinterpretati da bambini e maestre tramite disegni, che si prestano ad essere fotocopiati e quindi ritagliati per la produzione di cartelloni o schede da colorare. Lo sappiamo bene ormai: la buona scuola è quella del fare.
Sebbene questa descrizione dipinga forse per alcuni un quadro piuttosto desolante, posso certamente affermare di aver visto scuole muovere passi da gigante nella nella scelta dei libri. Alcune maestre, specie dopo i nostri percorsi formativi o visite a Radice-Labirinto, optano per albi complessi e imprevedibili, costruendo un proprio progetto didattico non necessariamente mutuato dal libro: ho visto, per esempio, portare a scuola libri non necessariamente narrativi o acquistare una rosa di testi per parlare dello stesso tema. Tuttavia anche nelle realtà più illuminate persiste la tendenza a identificare il libro come strumento didattico, tanto che alcune scuole per non incorrere nel rischio della didascalia, hanno arginato il problema non lavorando affatto sui libri.
Si pensi ad una realtà come quella degli asili di Reggio Emilia dove l’uso del libro è quasi sempre del tutto secondario rispetto alla progettazione didattica. In queste scuole al libro si può approdare (alcune di esse hanno anche piccole biblioteche), ma esso non è quasi mai il punto di partenza per lo sviluppo di un percorso interdisciplinare. Insomma, o il libro è al centro della questione o non lo è affatto; sono questi i due poli su cui oggi rimbalzano le pratiche didattiche intorno al libro.
Nella peggiore delle ipotesi i libro ponte e il libro prediletto vengono spremuti “fino all’ultima goccia di meraviglia”, come dico io, per estrapolarne (o per farci entrare) tutti le argomentazioni di cui abbiamo bisogno: dalle emozioni all’amicizia, dall’intercultura alla paura, dal cibo ai cinque sensi. Ho visto fare cose al pesciolino arcobaleno che non mi sarebbero mai e poi mai venute in mente. E la stessa cosa vale per Nero coniglio, per Lison non ha paura, per Topo Tip, per Federico di Leo Lionni…
Se è vero che le storie possono comprendere infinite sfumature, è anche vero che non si può vedere quello che non c’è o tirare un personaggio per i baffi e per le orecchie fino a farlo diventare o a fargli dire ciò che vogliamo. Il libro, e di conseguenza i personaggi della sua storia, hanno una loro dignità, un loro equilibrio e una loro personalità, un loro modus operandi e una loro specifica vitalità. Spremere un libro o allungarlo e distorcerlo a dismisura non è solo dannoso, ma è quanto mai controproducente perché – e non mi stancherò mai di ripeterlo – i bambini amano soprattutto la verità, e per quanto vi possano seguire o possano (per forza di cose) affezionarsi ad un personaggio, apprezzeranno in misura maggiore l’integrità di una storia rispetto al suo trasformismo caotico e strampalato.
Qualora poi il libro non venga spremuto all’inverosimile, assistiamo ad una vera e propria strumentalizzazione della storia e ad un’operazione d’interpretazione didascalica e retorica, volta banalmente, e inutilmente, alla decodificazione dei suoi contenuti che, spesso, proprio per il tenore del linguaggio del libro opzionato, sono già di per sé inequivocabili. Il libro-ponte viene letto e riletto, chiosato e spiegato un’infinità di volte così da esser certi che i bambini abbiano capito ben bene e interiorizzato il suo messaggio. Davvero una misera sorte per un libro, soprattutto se già di bassa qualità.
Questa operazione non è solo deprimente, ma del tutto folle perché, come se non bastasse, il libro ponte viene di nuovo spiegato e chiosato, letto e riletto, nella scuola successiva. Un vero incubo anche per il più accanito dei lettori.
Possibile che non ci sia un modo per far entrare il libro a scuola preservando ad un tempo la sua splendente inutilità e la sua meravigliosa potenza?
Per inutilità intendo che nelle scuole quasi mai un libro viene letto per puro piacere e se questo avviene, succede nei momenti di rilassamento, dove invero il libro è ancora una volta finalizzato ad un compito ben preciso, quello appunto di distendere o di intrattenere i bambini in un momento morto tra un’attività e un’altra. Non sembra, ma le pratiche legate alla lettura a scuola sono spesso vittima di un sistema efficiente che tutto organizza e tutto programma, perfino il piacere.
Un libro può spaventare, eccitare, galvanizzare, intristire, renderci malinconici; chi può decidere quando abbiamo il permesso di cedere o meno a questi sentimenti? Un libro deve poter essere letto in qualsiasi momento, deve attrarci come un guizzo, accendersi all’improvviso come un fuoco fatuo. Per fare questo deve svincolarsi da ogni didattica, diventare inutile, nel senso che non dobbiamo leggerlo per ottenere qualcosa o capire qualcosa. Di certo noi non andiamo al cinema per imparare delle cose, andiamo al cinema per vedere e immergerci in una storia; se poi ne trarremo qualcosa, succederà in virtù della storia stessa, di quelle emozioni non cercate, non premeditate, nascoste negli intrecci della trama, in quell’inquadratura perfetta, nel vibrare di una sceneggiatura intensa e ben diretta.
Comprendere nella scuola, e in particolare nelle scuole dell’Emilia Romagna votate fin dagli anni ’70 al cognitivismo, il concetto di inutilità di un libro (concetto che una volta compreso spalanca le porte di un mondo ricco e meraviglioso), è quanto mai difficile, lo vedo negli occhi delle maestre quando svolgo le mie formazioni.
Allora ho cercato un compromesso: tra spremere la meraviglia e il leggere per puro piacere – quando capita, quando si vuole, qualsiasi libro – ho inventato le bibliografie intrecciate.
I libri si chiamano continuamente tra di loro, a volte ho perfino l’impressione che parlino sugli scaffali. Comunicano con parole sottili, a volte solo con un cenno, un segno appena graffiato, una sfumatura. Le voci dei libri sono piccoline sapete, bisogna allenarsi ad ascoltarle. Non sono gli schiamazzi dei titoli, fin troppo simili nel loro essere, a volte, così spudoratamente retorici (per non parlare poi dei titoli dei libri a tema!Quelli sembra che usino addirittura il megafono per richiamare l’attenzione del lettore sprovveduto); no, io parlo di connessioni fragili, di ragnatele appena mosse dal vento che incontrano un raggio di sole: ora appaiono, ora scompaiono.
Le bibliografie intrecciate partono da una fiaba, da un incanto narrato solo con la voce, raccontate a memoria senza l’uso del testo. E già questa partenza potrebbe sembrare destabilizzante per molti, ma ogni migliore bibliografia nasce da un perturbamento, da una vibrazione insolita che ci spinge a cercare, a domandarci, da una questione che non ci lascia dormire.
La fiaba custodisce le radici del nostro narrare, sono le storie alla base delle storie, quindi un ottimo punto di partenza.
Dalla fiaba che dà il via all’incanto e alla suggestione, si snoda una bibliografia di sette titoli. Sette è un numero instabile per quanto magico, non ha la completezza dell’8, ma rappresenta l’ultimo giro della spirale prima di elevarsi verso l’alto. Il sette lascia la voglia di cercare ancora, lascia aperta una porta, è il salto per la prima nota della scala successiva, come su un pianoforte.
La bibliografia intrecciata invita a non fermarsi all’ultimo libro, vi spinge, se sarete entrati nel gioco, ad avventurarvi ancora nello scaffale di una libreria, ad ascoltare i libri sussurrare. I sette titoli sono intrecciati alla fiaba d’inizio per piccole cose, tracciano un percorso nella neve appena appena visibile, ma che se saprete seguire vi condurrà al nido del pettirosso o alla tana della volpe, ad un incanto svelato.
I libri sono commentati come nella bibliografia ragionata e le loro chiose vi potranno guidare alla scoperta delle connessioni, ad intravedere le incandescenze tra una storia e l’altra, tra una fiaba e una raccolta di poesia, tra un albo e una singola parola.
Queste bibliografie vogliono essere uno strumento di ricerca per allontanare il rischio di fossilizzarsi su un solo libro per tutto l’anno, per non appesantire una singola storia di significati che non porta, e per regalare ai bambini la meravigliosa complessità della letteratura. Le bibliografie intrecciate sono uno sguardo nuovo sulla storia, su un tema se volete, e hanno il potere di arricchire la libreria di classe con testi imprevedibili, inquieti, scelti senza fini pedagogici precisi.
Le bibliografie intrecciate, poi, dicono al libro-ponte che non è necessario essere letto e riletto, rielaborato, ricucito, sezionato… dicono che le storie sono così potenti che quello che potrebbe fare la differenza in un passaggio -per sua natura complesso- non è ritrovare nell’altra scuola lo stesso libro, ma una fiaba lucente che in modo del tutto spontaneo accende una scintilla con una storia che abbiamo già ascoltato. Passare da una scuola piena di libri belli ad un’altra scuola con altrettanti libri belli, è tutto quello che serve. Sentire una fiaba narrata a memoria, così vera nell’emozione della voce, e sentire un’altra fiaba narrata a memoria nella nuova scuola da una voce diversa ma pur sempre emozionata, è tutto quello che occorre ad un bambino per sentirsi a casa; perché siamo essere narranti, perché amiamo e sappiamo riconoscere il vero, perché una storia condivisa è quello che ci fa sentire amati.
Nel prossimo articolo un esempio di Bibliografia intrecciata.
2 pensieri su “Spremere la meraviglia”