Come crea la voce?
Con questa domanda ci siamo lasciati nella prima parte dell’articolo.
Per trovare una risposta dobbiamo discendere fino alle radici delle parole, al suono racchiuso nella loro forma archetipica risalendo al fonema etimologico.
Partiamo dal bambino
Partiamo dal bambino inteso come creatura.
Creatura ha la sua radice nell’antico fonema indogermanico Kar. E’ il greco Krainos che significa creare, fare. La creatura ha dunque come scopo quello di compiere un’azione, di fare qualcosa. Se ne deduce quindi che il bambino è un progetto in evoluzione a cui devono essere dati gli strumenti adatti per evolvere.
Dalla stessa radice viene Kronos, il padre degli Dei.
Kronos è Krantor, ovvero colui che crea, il creante. Il bambino ha dunque la stessa funzione del più antico degli Dei del nostro occidente, il creatore.
Dalla stessa radice indogermanica deriva anche Ceres, la nostra Cerere, colei che produce, cioè il lato femminile di Kronos.
Kerp è poi esattamente il prodotto delle azioni dei due Dei, l’intero creato.
Dalla stessa radice viene Corpus cioè l’elemento in cui si corporifica l’azione creatrice.
La Fiaba
Fiaba ha la stessa radice di fama che ha il suo fonema archetipico nel protoindoeuropeo Bha.
E’ il sanscrito Bhanati , è l’armeno Ban-bai, l’antico slavo Bajati e l’Old English Ban, Ben ( da cui Big-Ben)
Che cosa vuol dire Bha?
In greco è diventato pheme-phanai, che diventa phone, cioè suono.
La voce, il parlare, significa “portare qualcosa a qualcuno”, ma sempre attraverso il suono perché la magia la compie il suono delle parola.
Condizione necessaria affinché il suono venga recepito è che il parlante e l’ascoltante condividano lo stesso codice.
Questa è la comunicazione, che vuol dire “comunicare con un’azione in comune”. Comunicare con il proprio bambino vuol dire essere in comunione con lui, riconoscere il ruolo importantissimo che le parole e i suoni hanno nel fare luce sui misteri della realtà che lo circondano.
La realtà che ci circonda è duale, costruita sul dialogo degli opposti: buio e luce, maschile e femminile, solido e liquido…
Entrambi gli elementi sono sempre in stretta relazione tra loro. Eliminando dalle fiabe i suoni oscuri, toglieremo voce anche a quelli luminosi creando solo confusione nei nostri bambini. I suoni e le parole diventano più potenti ed efficaci se della fiabe andremo cercando le versioni più pure e senza passare per inutili fronzoli e dannose censure.
Il Folklore
Analizziamo ora la parola Folklore
Lore vuol dire insegnamento, precetto, dottrina.
E’ la dottrina del popolo, quella che non passa per le università e le accademie.
Folklore viene dall’Indo Europeo Leis che significa segno, solco, sentiero.
In Old English è Lar, apprendere ciò che viene insegnato, quindi conoscenza, scienza, dottrina, arte dell’insegnamento.
Folklore è:
l’Old Frisian Lare,
l’Old Saxon Lera,
il Medio danese Lere,
l’Antico Alto tedesco Lera,
il Tedesco Lehere.
E’ evidente che tutte queste parole hanno la stessa radice.
Se ne deduce che la conoscenza e la scienza vengono passate grazie ad un preciso solco, un segno.
E’ un codice: “io suono qualcosa e ti ci metto accanto un segno”.
Da qui viene in-segnare. L’insegnante è infatti colui che dovrebbe essere in grado di conoscere il segno e guidare il discente verso il senso vero delle cose.
Il suono delle parole trasmette la chiave per comprendere i misteri del presente. Il discente veniva educato affinché potesse riconoscere i segni per poi passarli a sua volta ai bambini.
Nella tradizione popolare la conoscenza segue la fitta trama dei fili rossi di fiaba e mito, l’intreccio di parole disegnate dalla voce e non dall’inchiostro.
Non vi è dubbio che la forma scritta abbia contribuito a preservare la memoria delle fiabe e a renderci partecipi di un repertorio molto più vasto rispetto a quello locale e nazionale; tuttavia ha anche interrotto, in parte, il flusso delle voci che per secoli ci hanno consegnato fedelmente i suoni delle fiabe. Ed è altrettanto vero che la forma scritta costituisce una forma di controllo e che di certo ha ingabbiato la voce della fiaba in strutture più rigide e convenzionali.
Forse dovremmo chiederci: cosa spaventa delle fiabe?
Quali segreti nascondono che tanto disturbano il pensiero dell’uomo occidentale dal 1700 in avanti?
Nella voce dei nostri antenati si preservavano intatti i suoni; nei numerosi repertori folkloristici possiamo ancora ritrovare la vibrazione dei fonemi primigeni. Noi per primi dovremmo recuperare il piacere della narrazione fidandoci della fiaba e del fuoco segreto che guiderà la nostra voce dando vita a cabale fonetiche di grande suggestione e di grande interesse per i nostri bambini.
In alchimia si parla di cabala fonetica, altrimenti detta Lingua degli Uccelli.
Fulcanelli ne dà una definizione lapidaria nel “Il mistero delle cattedrali”
“I rari autori che hanno parlato della lingua degli uccelli, le attribuiscono un posto di primo piano [nella comprensione della realtà]. La sua antichità risalirebbe ad Adamo che l’avrebbe utilizzata per imporre, secondo l’ordine di Dio, i nomi adatti, propri a definire le caratteristiche degli esseri e delle cose create.”
Quanto Fulcanelli scrive è raccontato nel libro della Genesi. Si dice che Nomen est omen, e che conoscere il vero nome delle cose ci permetterebbe di accedere al mondo magico che ci circonda e a cui, altrimenti, ci resta negato l’accesso.
D’altra parte l’incantesimo (della cui etimologia avevamo già trattato in un altro articolo del blog) funziona solo se la parola-magica rivela delle cose il loro nome autentico.
Che le fiabe, nel corso dei millenni, ci abbiano sempre detto la verità?
Non ci resta che iniziare a raccontare…
Per la stesura delle parti etimologiche di questo articolo si ringrazia di cuore Captain Nemo che durante la briciola-conferenza “Fiabe e Alchimia” del 24 e 25 giugno presso la Fattoria Centofiori, è stato a dir poco illuminante.
2 pensieri su “La voce della fiaba #2”