Gli adulti della società contemporanea hanno perso la famigliarità con il corpo dell’altro: toccarsi è quasi sempre fonte di grande imbarazzo e non importa se siamo noi a fare una carezza oppure a riceverla, il disagio e la voglia di scappare resta la medesima. Non sto parlando di corpi che ci sono familiari, noti e amati, dei quali forse conosciamo le forme, il calore, la consistenza. Parlo dei milioni di corpi che nella nostra vita incontriamo, sfioriamo, urtiamo. Persino il gesto imprevisto che ci porta ad inciampare nell’altro crea in noi un’onda immediata di tensione e timidezza che di solito gestiamo in modo goffo e convulso.
Il corpo morbido di un neonato rompe di solito qualsiasi schema precedente e il semplice contatto si trasforma in un gesto d’amore tenero e pieno di premura. La confidenza prende il posto della diffidenza e quel corpo piccolo che ogni giorno si trasforma sotto i nostri occhi diventa quasi un’estensione di noi, un canale con il mondo circostante che ci fa percepire fin nelle viscere se il nostro bambino è sofferente, felice o insoddisfatto. Non è solo una prerogativa materna l’essere così in sintonia con il proprio figlio, anche i padri partecipano di questa comunione, in modo altrettanto potente. Sarebbe molto bello se questa condivisione con il corpo del bambino riuscisse a trasformare anche i rapporti con altri corpi adulti, in rapporti più disinvolti e amichevoli. Invece assistiamo ad un processo inverso: il corpo di un figlio aumenta questa distanza perché esso diventa un baluardo da proteggere e da preservare. Non è solo per un senso di igiene che i genitori intervengono a interrompere contatti troppo stretti con altri bambini (anche se purtroppo ci sono in questo senso molte fobie insensate su, per esempio, la trasmissione di banali malattie stagionali o sul corpo del bambino straniero), ma spesso la vicinanza tra due o più compagni di gioco crea un vero e proprio disagio emozionale nell’adulto.
Quel corpo piccolo e roseo con il quale abbiamo legato fin dal primo respiro un nodo di tenerezza così puro e sincero, riesce ad essere il tramite per una strana alchimia di emozioni contrastanti che porta alcuni genitori a provare un disagio profondo quando quel piccolo corpo viene toccato da altri bambini.
Non è esattamente gelosia (forse più possessività), ma una specie di forte imbarazzo non solo nei confronti del proprio figlio bensì verso i figli altrui: “gli altri genitori vorranno che i bambini si tocchino, che si avvinghino nella lotta uno all’altro? Staranno temendo, come me, che il proprio figlio possa nuocere all’altro bambino? Cosa penseranno se mio figlio abbraccia o bacia un altro bambino o se gli impedisce di muoversi liberamente tenendolo stretto a sé? E’ conveniente?”
Il senso di pericolo in questi pensieri è relativo perché non è questione di farsi male; a livello inconscio è il contatto con l’altro corpo che ci disturba e fa tremare tutte le nostre cellule alla ricerca di una soluzione non contaminante che possa però celare questo sconveniente imbarazzo dietro una scusa di apparente pericolo. Chi potrebbe mai ammettere che il contatto tra due corpi bambini possa procurare una simile sgradevole sensazione mista a rabbia, paura, timidezza, preoccupazione?
Allora appare chiaro come la lotta, i trenini sullo scivolo, perfino le dimostrazioni di affetto vedono i genitori seduti in panchina pronti ad intervenire per tenere sotto controllo la situazione o addirittura per dirigerla cercando il minor coinvolgimento possibile tra i corpi interessati. Se i bambini sono amici e i genitori si conoscono questo sentimento resta per lo più sotto la cenere del sacro fuoco di un’intimità da salvaguardare a tutti i costi; se però, come intorno al materasso rosso, i bambini si sono appeni conosciuti è quasi impossibile che, in presenza degli adulti, si possa formare un trenino sullo scivolo o si possa ingaggiare una lotta in piena libertà. Dopo pochi secondi il genitore più impaziente e più imbarazzato interviene, intima al bambino di muoversi a scendere o di spostarsi dal materasso per riprendere un gioco più corretto, pulito, sterile. Quando due corpi si scontrano e ridono insieme si sprigiona nell’aria un profumo buono, gocce di sudore sostituiscono lacrime e lamenti, i respiri si mescolano e c’è un sapore di sale a fior di pelle. I corpi chiedono di confondersi con gli altri per riconoscersi e distinguersi, il contatto ci è fondamentale per stabilire il nostro confine, il nostro odore e la nostra essenza. Ai bambini basta poco per farlo. Ci sono bambini che proteggono il loro spazio personale con grande energia, che hanno un senso del tatto così fine che impiegano qualche anno per riuscire a mescolarlo con la sabbia, il mare, i sassi, l’erba bagnata. Altri invece mangerebbero letteralmente il corpo dell’altro, lo assaggerebbero con gusto e soddisfazione, impazienti di dimostrare anche così uno slancio di intenso affetto. In entrambi i casi saranno sempre gli altri bambini la chiave di volta, perché essi rappresentano l’altro da sé, il nuovo, il mondo. Non sarà la presa forte della mamma o la carezza del papà che tanto bene i figli conoscono a insegnarci e a disegnarci le mappe di ciò che sta fuori da noi. I genitori sono il corpo che consola, che accoglie, quello che sappiamo distinguere tra gli altri per odore, sapore, consistenza.
Nella Repubblica di Platone si ipotizza una società più felice se i figli diventano i figli di tutti: le madri non sapendo quale sia tra gli altri il proprio figlio sono portate a nutrire il medesimo affetto per tutti i bambini della polis. Senza andare troppo lontano nel tempo, la comunità contadina della prima metà del novecento condivideva, oltre agli spazi vitali (cinque corpi spesso si spartivano un letto e l’imbarazzo veniva mitigato dall’abitudine), anche una visione più affettuosa della vita famigliare. Ci si occupava dei bambini degli altri o se non altro si aveva il diritto di intervenire, con i modi e le conoscenze di allora, sull’educazione dei figli altrui. A parte i contesti scolastici dove l’educazione può essere prerogativa anche di adulti esterni alla famiglia, è molto raro vedere un genitore intervenire per rimproverare il figlio di qualcun altro. Si ha paura di provocare scontento o di interferire con un modus educandi che, dopo la massiccia diffusione di una psicologia di base, pare possa essere differente da famiglia a famiglia. Non è solo il rimprovero ad essere diventato proibito da parte di altri, ma ben più preoccupante anche le dimostrazioni d’affetto hanno subito la stessa sorte.
Quando i genitori separano due bambini che lottano o si sono avvinghiati sulla discesa di uno scivolo, si avverte una salvaguardia del corpo del proprio figlio che per nulla tiene conto del corpo dell’altro bambino. Quel bambino, quel corpo, è affare altrui e nella sequenza dei gesti questa freddezza e questa potenza di disinteresse si percepisce fortissima ed è, a mio avviso, disarmante, preoccupante, alienante. E’ finito il tempo dell’individualismo, i nostri figli dovranno imparare a condividere, a voler bene a ciò che è altro, esterno, straniero e straniante da loro. C’è un affamato bisogno di volersi bene, di abbracciarsi, di conoscere anche la superficie di chi ci sta accanto, sporcandoci, avvinghiandoci, vedendo negli occhi dei propri genitori un affetto sincero e profondo per gli altri bambini anche se questi non sono suoi figli.
Perché l’amore si impara da piccoli anche sul trenino di uno scivolo.
Questo post fa parte della serie UN MATERASSO ROSSO. Per leggere i post precedenti:
Un materasso rosso
Un materasso rosso #2
Genitori invadenti? #1 Tutti in fila!
Genitori invadenti? #2 Divieto di sosta
Genitori invadenti? #3 Alla rovescia
Genitori invadenti? #4 A modo mio
Genitori invadenti? #5 e #6
Genitori invadenti? #7 Corri topolino!
3 pensieri su “Genitori invadenti? #8 Incontri ravvicinati”
questo post mi ha fatto commuovere…
E’ veramente commovente, sconcertante e confortante l’analisi che avete fatto. Complimenti perchè a volte trovare le parole così giuste diventa molto complicato! Leggere il vostro blog è fonte inesauribile di spunti, riflessioni e considerazioni! Grazie
Care Monica e Chiara,
grazie per i vostri commenti. Se le nostre parole sono riuscite a farvi commuovere, esse troveranno un terreno fertile in voi così da affondare radici e germogliare.
Grazie per seguirci con affetto.