«Polly non poté più riposarsi, perché i ragazzi la fecero ballare senza sosta; e lei era così felice che non si accorse affatto delle macchinazioni, delle gelosie, degli sfoggi di vanità, delle ostentazioni e delle sciocchezze che la circondavano».
Spesso i genitori in libreria ci chiedono albi o narrativa con protagonisti maschili o femminili a seconda se il destinatario del libro è un bambino o una bambina.
Fino agli 8/9 anni e specialmente in età prescolare, il lettore, non essendosi ancora individuato culturalmente in modo specifico come maschio o come femmina, riesce a godere indistintamente di una storia – se essa è bella – anche nel caso in cui il protagonista non abbia il suo stesso sesso. Questo non significa che un bambino o una bambina non sanno di essere maschi o femmine fin dalla scuola dell’infanzia, ma che come bambini e bambine sono ancora molto aperti ad accogliere l’Altro, a interiorizzare esperienze attraverso le storie dei libri qualunque siano i protagonisti.
In genere fino ai nove anni i bambini non essendosi ancora posizionati idealmente in ciò che distingue nel profondo le due energie maschile e femminile, si approcciano al libro con grande libertà e serenità. Intorno ai nove anni invece – e parlo specialmente per quanto riguarda la narrativa dove rispetto all’albo la profondità della storia permette una maggiore identificazione – l’empatia con il protagonista o la protagonista diventa un criterio di scelta quando si tratta di portarsi a casa un libro dallo scaffale.
Dai sei anni e in particolare con l’ingresso alla scuola primaria, l’appartenenza al gruppo dei maschi e delle femmine diventa sempre più importante nel processo di individuazione culturale e sociale – basti pensare a come i maschi prendono in giro le femmine e viceversa in un gioco di attrazione e repulsione senza malizia. Credo non ci sia nessun problema in questo processo di individuazione e che non ci sia bisogno di scomodare per una simile questione l’ampio dibattito degli ultimi anni sui modelli maschili e femminili.
Per un bambino piccolo è molto più facile identificarsi con la trama che non con il protagonista perché quello che resta dopo la lettura è il delinearsi della storia e non se il protagonista sia un maschio o una femmina. Inoltre anche nel caso in cui il lettore si identificasse con “la” o “il” protagonista, sarebbe solo un sano esercizio di immedesimazione nell’Altro (con la A maiuscola), cioè nel diverso da sé, e il diverso da sé può essere sia maschile che femminile. Quante donne infatti potrebbero definirsi uguali ad un altra donna? E la stessa cosa vale per gli uomini.
Rifuggiamo dunque da questo tipo di pensieri e teniamo il più lontani possibile i nostri pregiudizi e le nostre paure adulte dai libri e lasciamo che le storie, quelle belle, si disegnino libere tra le pagine.