Ho pubblicato da poco un articolo sul giocattolo, ma mi sono resa conto che un tema così vasto ha bisogno di ulteriori approfondimenti.
Può succedere, dopo aver esplorato a fondo un argomento, di scoprirsi più sensibili e attenti nei riguardi di quella materia; così mi sono sorpresa a guardare le pubblicità in modo ancora più critico e, per quanto rimanga del pensiero che il giocattolo commerciale non debba essere demonizzato, ho alcune precisazioni da fare riguardo al cattivo giocattolo, perché, purtroppo, esiste. Come per molte cose che ci circondano verso le quali dobbiamo applicare buon senso e giudizio, anche il giocattolo commerciale deve subire un vaglio preciso e in certi casi poco indulgente.
Sentiamo spesso parlare di giocattolo educativo, ma che cosa intendiamo davvero?
Non è solo la televisione a mostrarci piccoli computer e tavoli da gioco che suonano, vibrano e luccicano: anche la scuola sembra puntare la sua attenzione verso un giocattolo educativo che, badate bene, non è per forza un giocattolo di stampo commerciale, ma uno strumento, a quanto pare, in grado di sostenere l’intelligenza dei nostri bambini.
Non vi è nulla di male nel voler fornire la scuola di giocattoli di qualità, anzi! Ciò che stona è l’aggettivo “educativo” che, a mio avviso, è fuorviante e indice del fatto che abbiamo perso di vista il valore e il significato sia del gioco che del giocattolo.
Il buon giocattolo per un bambino è molto più che educativo: è divertente, coinvolgente, stimolante. Sia esso di plastica o di legno, esso permette di sviluppare creatività, fantasia, logica, emozioni e relazioni. Se abbiamo bisogno di classificare tutto questo con il termine “educativo”, allora abbiamo reciso il legame profondo con la nostra infanzia e, incapaci di recuperare quelle emozioni fondamentali provate da bambini, siamo rimasti intrappolati in una rete commerciale e pedagogica che vuole a tutti i costi ingabbiare ciò che è libero, spontaneo e felice.
Il giocattolo commerciale definito “educativo” merita invece una riflessione a parte.
La distinzione fondamentale che ci comunica la televisione e che fa la differenza tra un giocattolo educativo e uno che non lo è, sta nel fatto che il primo, in qualche modo, pare sviluppare l’intelligenza del bambino. Cosa intendiamo per intelligenza? Che i nostri figli imparino a contare, a leggere e, in generale, che sviluppino una logica razionale e una creatività artistica il prima possibile?
Un bambino, lo abbiamo ripetuto spesso, è attratto da tutto ciò che è vero. Non vi è nulla di più attraente per lui della voce della mamma e del papà, nulla di più autentico. Come ben ha esplicitato Rudolf Steiner, il principio di imitazione sta alla base dell’apprendimento del bambino piccolo: sentirci parlare, cantare, contare provoca in lui un senso di felicità e di curiosità che lo spinge a ripetere, e quindi ad imparare, il linguaggio corporeo, verbale e matematico. Se posto in età precoce davanti alle immagini di lettere e numeri, il bambino piccolo sarà del tutto in grado di associare il suono alla forma, dandoci sfoggio della sua intelligenza. Per fare un esempio: la ripetizione dei primi dieci numeri, viene, nella nostra cultura di stampo ancora fortemente positivista, sottolineata e ripetuta infinite volte ai bambini anche piccolissimi, diventando quasi una filastrocca e una canzoncina; è quindi del tutto normale e frequente che la sua memorizzazione avvenga in età prescolare. Anche le lettere, i versi degli animali, le illustrazioni del libri, le filastrocche, le canzoncine ritmiche colpiscono e sollecitano l’intelligenza del bambino, e al pari dei numeri, vengono memorizzate e interiorizzate velocemente.
Succede poi che il genitore, piacevolmente sorpreso e stupito (ed è giusto che sia così) davanti ai progressi del proprio figlio, incoraggi e sostenga con l’atteggiamento del corpo e il tono della voce il suo apprendimento, innescando un meccanismo estremamente gratificante per il bambino che sarà quindi spronato ad imparare.
Il giocattolo elettronico si sostituisce al genitore in questo processo e, facendo leva sulla curiosità del bambino, lo incoraggia a spingere bottoni e meccanismi vari dai quali si ottengono stimoli di diversa natura: voci che ripetono numeri, lettere, versi di animali. Proprio per il fatto che i bambini molto piccoli riconoscono e sono attratti da un principio di verità, l’interesse verso simili giocattoli scema velocemente, non appena il bambino ne percepisce la finzione: la voce registrata non ha nulla a che vedere con la voce della mamma e tutte quelle luci che si accendono e si spengono non hanno poi molto significato.
Dobbiamo poi aggiungere che i bambini nati dagli anni ’80 in avanti, sollecitati da una cultura che vede le immagini prevalere sugli stimoli motori, sono molto più alfabetizzati di un tempo rispetto ai linguaggi visivi, e posti davanti allo schermo di un telefonino o di un tablet sono in grado di riprodurre gesti e sequenze, di memorizzare lettere e numeri, di riconoscere meccanismi di lettura che ci lasciano spesso esterrefatti.
Non è, come si sente dire spesso, che i bambini degli anni duemila hanno un gene che li rende più tecnologici rispetto alle generazioni precedenti; essi semplicemente vedono i propri genitori adoperare la tecnologia con disinvoltura e frequenza, ed essendo circondati da input visivi forti, per quel principio di imitazione che sta alla base della costruzione della conoscenza, apprendono rapidamente a farne uso.
I nonni sono i primi a stupirsi di questi bambini “intelligenti” paragonando con stupore le loro capacità con quelle dei ragazzi dei loro tempi. Saprebbero però i bambini di oggi arrampicarsi velocemente su un albero o passare un intero pomeriggio su un aia a giocare da soli? Certamente saprebbero fare entrambe le cose se avessero l’occasione di sperimentarle a lungo.
Il vero pericolo del giocattolo educativo è, a mio avviso, il rischio di farci dimenticare che, accanto ad un’intelligenza di tipo logico-razionale, esiste un‘intelligenza emotiva e motoria che non deve mai essere considerata di minore importanza rispetto alla prima.
Per evitare di cadere nell‘utopia che i nostri figli saranno felici solo se si affermeranno con successo nella società, dobbiamo tenere sempre presente che la nostra vita non è più spensierata ruotando solo intorno al lavoro e alla gratificazione che ne deriva. Ce ne accorgiamo tutti i giorni quando desideriamo momenti di pace e tranquillità, quando ci lamentiamo del presente che con i suoi ritmi ci allontana dalla natura e dalla famiglia, quando ci chiediamo se è questa la felicità che ci aspettavamo. Sembrano tutti luoghi comuni, ma dobbiamo tenere a mente il nostro quotidiano se non vogliamo perderci nell’idea di un futuro migliore per i nostri figli solo perché costruito sul mito del successo. E su cosa si fonda questo successo? Sull’intelligenza di tipo razionale, sembra suggerirci la pubblicità oppure su indubbie doti da atleta. Siamo sicuri che valga la pena di lasciare che i nostri figli si facciano trascinare da questi sogni?
Reputo il giocattolo elettronico studiato per i più piccini un pessimo giocattolo poiché in esso non trovo nulla di intelligente: non è stimolante, se per stimolo si intende qualcosa in grado di sopravvivere ad un primo utilizzo, capace cioè di creare a sua volta nuove possibilità di gioco; non è relazionale dato che spesso i bambini lo utilizzano da soli e quando si prova a condividerlo risulta molto difficile, o quasi impossibile, il gioco a due; non è divertente perché non può esserci vera allegria dove non c’è autenticità; non è creativo in quanto non ci sono modi di utilizzarlo diversamente dalle istruzioni che ci vengono fornite.
Applicare il nostro senso critico significa non essere sempre politically correct verso tutto ciò che ci circonda, anche se questo potrebbe portarci ad assumere posizioni di forza non facili da sostenere.
2 pensieri su “Il giocattolo educativo”
Sono completamente d’accordo. Credo poi, come mi hanno suggerito alcuni pedagoghi, che l’aspetto più importante per lo sviluppo psichico-fisico di un bambino non radica tanto nelle sue capacità cognitive (specialmente in età pre-escolare) ma piuttosto nelle sue capacità relazionali, nella formazione di un’autostima e di una sicurezza di sè che si acquistano attraverso l’automia e il gioco libero. Credo, poi, che noi genitori dobbiamo fare uno sforzo per scindere l’idea di “successo” nella vita associata al scuccesso scolastico, per porlo invece su un piano della “realizzazione personale”, intendendo questa come la canalizzazione delle proprie capacità e dei propri interessi nel ambito lavorativo o personale. Più che “successo” (cioè il riconoscimento altrui delle proprie capacità) vorrei per i miei figli la “felicità”, che è invece intima e che si trova facendo le cose che ci piaciono.