Il giocattolo è un oggetto, una cosa. Ci circondiamo di quantità di cose, alcune di queste ci paiono fondamentali e altre superflue. In un caso o nell’altro, non possiamo fare a meno di possederle.
Non è raro che colti da necessità di traslocare, ritroviamo in soffitta scatoloni di giocattoli dismessi, per lo più in pessime condizioni, di cui però non ci siamo voluti liberare al momento opportuno. Spesso intrecciamo un legame affettivo con un oggetto, ma è in particolare quel giocattolo che ci è appartenuto in un momento preciso della nostra vita, a suscitare in noi emozioni fortissime.
Gioco e Giocattolo
Giocattolo e infanzia sono due parole strettamente legate tra loro: accostandole noi facciamo riaffiorare ricordi, sensazioni, profumi che hanno uno sfondo comune, il gioco.
Il gioco, diversamente dal giocattolo, non è qualcosa di materiale, di tangibile. Non potremmo in alcun modo riempire uno scatolone di giochi poiché esso è una relazione, una dinamica sia emozionale che razionale. Sarebbe davvero un peccato, d’altronde, liberarci una volta per tutte dai milioni di avventure che abbiamo inventato da bambini!
Il giocattolo invece è un oggetto e come tale ha una sua tradizione. Tutte le cose che ci circondano hanno un’origine comune, un’origine che ha che fare più con il significato che con la materia. Come per tutti gli inizi che riguardano la storia dell’uomo, anche l’origine del gioco o ha la sua parte di semplificazione e di sconfinamento nell’ambito mitico: un giorno, un nostro lontanissimo antenato ha afferrato un qualche cosa dall’ambiente circostante (ramo, sasso, liana) e lo ha usato come strumento, attribuendogli non solo una funzione, ma altresì una dimensione semantica e questa operazione razionale ci ha costituiti per sempre come uomini faber.
Oggi siamo in grado di fabbricare oggetti di tutti i tipi, a partire da materiali organici o inanimati, e siamo molto lontani da quel primo bisogno di usare uno strumento solo per una semplice ragione di sopravvivenza. Tuttavia ci sono cose che hanno, nel tempo, preso un posto d’onore nella scala gerarchica degli oggetti e nonostante non paiono, a prima vista, essenziali, di queste cose non riusciamo a farne a meno. Il giocattolo a tal proposito occupa uno dei primi gradini del podio.
Cosa rende un giocattolo un oggetto tanto speciale?
Proprio perché è intrinsecamente legato alla storia umana, il giocattolo lo si ritrova in tutte le culture del mondo: non vi è popolo o tribù che non abbia i suoi giocattoli. In particolare ci sono alcuni giocattoli che costituiscono una costante nei secoli e tra i vari popoli e sono: la palla, la bambola, le statuine di animali, i sonagli.
A fronte di un oggetto considerato imprescindibile, ogni cultura si contraddistingue poi per una sua specifica tradizione che ne decreta le differenze e le tipologie. La differenza può essere sia concettuale ( ovvero per la dinamica di gioco che promuove) che esecutiva (in base ai materiali utilizzati per la sua costruzione).
Limitandoci al bacino europeo potremmo osservare, per esempio, una sostanziale differenza tra il giocattolo contemporaneo italiano e quello tedesco. Il primo è fortemente legato alla comunicazione commerciale ed è per lo più in plastica; il secondo, strettamente collegato ad una tradizione pedagogica di stampo antroposofico, è quasi sempre in legno (il giocattolo mutuato dalla pubblicità è chiaramente presente anche in Germania, ma convive con una forte presenza di giocattoli di tutt’altro genere).
A questo punto però è doveroso fare un’ulteriore precisazione. Il gioco, rispetto al giocattolo, conta molte più affinità se spostiamo lo sguardo di cultura in cultura. Il “nascondino” lo si ritrova più o meno in tutto il mondo. Si può tuttavia notare che se il gioco ha caratteristiche comuni, questo può non valere per la funzione che la società gli attribuisce.
Giocare è imparare
Presso molti popoli giocare non è sinonimo di divertimento, ma di apprendimento: attraverso il gioco, i bambini imitano e interiorizzano i gesti degli adulti, imparando così rituali e stili di vita per uno sviluppo cognitivo coerente con la società nella quale si troveranno a vivere in età matura.
Ciò non è affatto scontato, dato che nel mondo occidentale e industrializzato al gioco e al giocattolo è stato per lo più assegnato un valore di intrattenimento.
Questa operazione, per lo più commerciale, ha relegato e isolato la funzione cognitiva del gioco ad un settore molto specifico, ovvero a quella del giocattolo educativo.
E’ davvero necessario abbinare l’aggettivo “educativo” al giocattolo o al gioco? Siamo certi che il gioco non sia sempre educativo e che intrattenersi con il semplice rimpiattino non lasci aperte infinite modalità di apprendimento?
Il gioco divenne oggetto di numerosi studi dopo la pubblicazione del romanzo “Emil” di Jean-Jacques Rousseau (1762). Questo testo influenzò tutto il pensiero pedagogico dell’epoca moderna.
Friedrich Frobel, pedagogista tedesco vissuto a cavallo tra il 1700 e il 1800, considerava il gioco come una spontanea attività creatrice fondamentale per lo sviluppo cognitivo dei bambini. A Frobel dobbiamo la trasformazione degli asili infantili in strutture educative. Egli fondò i “giardini d’infanzia” al cui interno troviamo spazi predisposti e attrezzati per attività di gruppo e di gioco, quest’ultimo considerato da Frobel alla stregua di un “lavoro” in cui il bambino metteva tutto il suo impegno e dal quale traeva gli stimoli necessari per la sua crescita psicofisica.
Per Frobel attraverso il gioco si sviluppa il linguaggio, il disegno, l’attività logica, la creatività oltre ad essere il supporto fondamentale per stabilire rapporti con sé, con gli altri e con la realtà.
Grande importanza aveva per Frobel il giocattolo poiché, se rispondente a certe qualità, diventa uno strumento in grado di assecondare il processo educativo. Per questo il pedagogista tedesco chiamava i giocattoli “doni”: la palla, il cilindro, il cubo scomponibile in vari pezzi permettevano al bambino di acquisire il senso del rapporto tra le parti e il tutto e di sostenere le prime abilità costruttive.
Tutt’oggi in Germania esistono case produttrici specializzate in giocattoli frobeliani.
In Italia anche Maria Montessori credeva, come Frobel, che il gioco dovesse essere considerato come un momento di formazione della personalità del bambino. Il gioco è assolutamente necessario per sviluppare la creatività e per far si che il bambino raggiunga l’autosufficienza, imparando a riconoscere via via ciò che è potenzialmente in grado di fare da solo, raggiungendo così l’autonomia.
E’ ancora una volta il giocattolo a sostenere e a contraddistinguere il pensiero montessoriano: strumenti specifici infatti, sono stati messi a punto dalla pedagogista marchigiana per incoraggiare i processi di apprendimento dei bambini.
Nelle scuole della Montessori troverete giocattoli studiati e pensati per sostenere l’autonomia e l’autoapprendimento, giocattoli semplici e al contempo raffinati che richiedono un’attenzione specifica e dove l’errore è considerato della stessa importanza del buon risultato.
Giocare è fare
Da questo brevissimo excursus storico-pedagogico, possiamo dire che la prima cosa che contraddistingue il giocattolo è la sua connessione al “fare”.
Il fare prevede il coinvolgimento della mente e delle mani. Il giocattolo non può essere solo un oggetto decorativo, esso chiama in causa il gesto e ne riconosce le sue valenze sia espressive che motorie.
Il gesto legato al giocattolo è spesso sapiente, articolato e in divenire. Persino il giocattolo più scadente richiede un “saper fare”; la differenza con un giocattolo di qualità, starà semmai, nel riuscire o meno a sostenere tutte le sfumature creative di un sapere via via sempre più competente.
In ogni caso, con un simile oggetto, il bambino è portato a stringere un legame affettivo in quanto esso lo coinvolge non solo a livello fisico e motorio, ma anche a livello emotivo. E’ quando un’impresa richiede tutto il nostro impegno, chiamando a raccolta forze immaginative e fisiche, che cresciamo e affiniamo il nostro essere. Che si tratti di una bambola da accudire o di un aeroplano da far volare, il bambinoo metterà tutto sé stesso per raggiungere il fine che si è prefissato e quindi uno stato di benessere.
Tornando allo scatolone del trasloco pieno di giocattoli, di cui non riusciamo a liberarci, ora possiamo dire che non contiene solo un mucchio di oggetti inanimati, ma molto del bagaglio di esperienze che hanno reso indimenticabile la nostra infanzia. Guardando attentamente al suo interno, difficilmente vedremmo giocattoli belli.
Forse, se siamo fortunati, potremmo trovare un sacchetto di rete con dentro dei blocchi di legno rossi gialli e blu, una bambola di pezza dai lineamenti delicati o un orso di peluches, che nonostante tutto, è ancora morbido al tatto.
Tuttavia, la maggior parte dei giocattoli è in plastica e in pessimo stato: i colori, un tempo fin troppo assordanti, sono ora anneriti e ingialliti, alcuni pezzi sono rotti o hanno delle parti mancanti, altri sono addirittura irriconoscibili.
La cosa più sorprendente però è che i giocattoli presenti ne richiamano alla mente tantissimi altri che ci invadono i ricordi accompagnati da un misto di commozione e tristezza. Quanti giocattoli abbiamo perduto nel corso del tempo! Che fine avrà fatto quella bambola che camminava e parlava o quelle macchinine microscopiche che si infilavano dappertutto?
Il mondo occidentale è pieno di giocattoli perduti, finiti chissà dove.
Il giocattolo come fonte di ricordi
A quanto pare questo scatolone ci può fare a lungo riflettere. In particolare sono due i punti su cui, ora, mi soffermerei.
Il primo è che, se guardiamo quello scatolone senza pregiudizi estetici, ci troveremmo un tesoro: siamo stati colti dai ricordi e molto probabilmente ci metteremo a sedere accanto a quella scatola, rubando un po’ di tempo al trasloco, per ripensare alla nostra infanzia.
Questo ci dice una cosa molto importante: il giocattolo a cui siamo stati legati non deve essere a tutti i costi bello, deve però aver stimolato il gioco e l’immaginazione o essere stato un oggetto relazionale, ovvero un oggetto con il quale abbiamo instaurato un rapporto amicale e affettivo.
Il secondo punto è che se un giocattolo fosse anche ben fatto potrebbe essere tramandato, in altre parole potrebbe evitare lo scatolone ed arrivare quasi intatto tra le mani di un bambino di un’altra generazione. Di quello scatolone, al contrario, potremmo salvare solo poche cose e prenderemmo atto che, purtroppo, sono molti di più i giocattoli che si sono smarriti per sempre o di cui addirittura conserviamo un ricordo sbiadito.
Detto questo, non voglio fare nessuna demonizzazione del giocattolo commerciale, perché i nostri bambini vivono nella contemporaneità e così come vale per le immagini, anche gli oggetti devono essere interpretati e capiti per evitare che essi ci possano sopraffare.
Privare un bambino di un “brutto” giocattolo in nome del buon gusto e di una scelta a tutti i costi intelligente, a volte significa non dare loro gli strumenti necessari per entrare dentro a delle relazioni importanti con i coetanei.
Ciò non vuol dire arrendersi alla plastica e al brutto, ma dotare i nostri figli di senso critico, porgere loro la possibilità di crescere in un mondo che offre il bello accanto al brutto, la verità accanto alla menzogna, avendo fiducia che sapranno scegliere ciò che li renderà forti e capaci di affrontare la vita, anche se le loro scelte non coincideranno sempre con le nostre.
E’ dalla quotidianità, dai quei piccoli gesti che messi insieme costituiscono l’infanzia che dobbiamo partire per costruire nei bambini questa capacità di discernere in base alla propria idea e alla propria intelligenza.
E poiché i giocattoli, come i libri, fanno parte di questa quotidianità dobbiamo fare in modo che nella stanza dei nostri figli, nelle aule scolastiche, in giardino vi siano tutti gli strumenti in grado di stimolare in modo differente il loro gioco.
Continua… leggi la seconda parte!
3 pensieri su “Sul giocattolo #1”
Che bello! sono meravigliosi questi due post… molto interessanti!. Sul gioco e il giocattolo mi permetto di suggerirti di leggere un’intervista che feci al pedagogo Francesco Tonucci e che trovi nel mio blog. http://kidsmodulor.blogspot.it/2012/11/intervista-francesco-tonucci_16.html. E’ molto interessante la sua visione del giocattolo “valido” e del gioco, intendendo questo come una azione libera del bambino, senza il controllo degli adulti e di conseguenza con la necessaria componente di rischio che rende al gioco una esperienza di crescita. A proposito del giocattolo tedesco in questi giorni sto anche leggendo un libro pubblicato da poco che ti consiglio vivamente: una raccolta degli appunti e degli scritti sull’infanzia di Walter Benjamin. Qui trovi delle riflessioni di Benjamin sul mondo dell’infanzia meravigliose e anche una serie di scritti sulla tradizione di libri e giocattoli tedeschi molto interessanti. Il libro è questo: http://www.amazon.it/Figure-dellinfanzia-Educazione-letteratura-immaginario/dp/8860304873. Buona lettura!