“Nella stufa a legna del suo laboratorio scalda i cuori gelidi e, con un ago d’argento, ricuce quelli infranti. Con pinze intrise d’oblio regola l’ora di chi è rimasto indietro perché non si rattristi sui ricordi del passato.”
Mattia aggiusta cuori spezzati, con pazienza e perizia artigiane. Aggiustare cuori è un mestiere faticoso perché amare è un compito difficile.
Mattia ama Beatrice e il suo amore è cortese e discreto: ogni anno le porta in regalo un pezzetto del proprio cuore, riponendolo in una piccola scatola di legno o di cristallo.
Beatrice non lo saluta nemmeno, mette la scatola su una mensola e lo congeda dalla finestra con sguardo glaciale.
Odiare non è un verbo dalle poche sfumature: tra queste ci sono indifferenza e crudeltà. Come in uno specchio, le persone che odiano possono riconoscersi gli uni negli occhi degli altri, sempre uguali a se stessi.
Amare al contrario è un verbo ricco, variegato e comprende il prendersi cura e il donare. Quando amiamo qualcuno ci scopriamo ogni giorno diversi e rinnovati, in un percorso di conoscenza di sé tra i più potenti che possiamo intraprendere.
Mattia e Beatrice sono i protagonisti de “L’Aggiustacuori”, l’albo di Arturo Abad illustrato da Gabriel Pacheco ed edito in Italia da Logos edizioni.
Autore e illustratore hanno dato vita ad una storia delicata dove immagini e parole, sullo sfondo di un cielo turchese, restano in bilico tra la sensibilità dell’amore e la freddezza di un cuore incapace di qualunque sentimento.
Le atmosfere sono oniriche, quasi sospese e, come se ci trovassimo nella penombra di un teatro, percepiamo su tutto un’aria magica, in equilibrio tra realtà e finzione, tra gioia e tristezza.
Il libro sembra un minuscolo palcoscenico in cui le scenografie, che paiono sorrette da piedistalli invisibili, sono state appoggiate frettolosamente e gli oggetti di scena dimenticati in posti sbagliati. Le case sono fatte da una sola parete, piccole quinte di cartone dietro le quali vivono Beatrice e Mattia.
Abbiamo l’impressione che la storia si stia svolgendo oltre il sipario chiuso, di notte. Gli alberi sono sagome incerte su un fondale che annulla la percezione dello spazio tridimensionale; vasi e scatole di cartone, come piccoli indizi magici, prendono vita disseminati nel bosco; ragni, bachi da seta e lumache abitano spazi imprevedibili, calandosi da altissimi soffitti o dalle nuvole; una luna enorme, alla Méliès, sembra mossa da un macchinista distratto che la fa comparire storta e precaria negli angoli bui delle pagine notturne.
I pochi mobili del laboratorio di Mattia sono oggetti leggeri, quasi evanescenti: una gabbietta per uccellini, una teiera, una ruota di bicicletta, un mantice, un treppiedi che sostiene una lampada da comodino, un attaccapanni e tanti barattoli. Su ciascun barattolo leggiamo i contenuti, altrettanto inconsistenti: silenzi, sogni, mare, nuvole, oblio… io… in quest’ultima scatola Mattia nasconde i pezzi del suo cuore da regalare a Beatrice, la donna dai lunghi capelli rossi che alla finestra attende ogni primavera l’arrivo del giovane innamorato.
Lei lo aspetta, ma quasi per gioco, indossando sempre e solo quell’unico sguardo gelido e tagliente, incapace di cogliere negli occhi di Mattia nient’altro che il proprio riflesso, freddo e vibrante come una lama.
Mattia, che la ama, vede invece in quegli occhi indifferenti, oltre alla sua pena, anche ciò di cui Beatrice ha bisogno: un cuore.
Non si può aggiustare un cuore che non c’è, l’unica soluzione possibile e costruirlo pezzo per pezzo; ma un cuore non lo si trova per strada, e neppure lo si può fabbricare, anche se si cuciono insieme frammenti di cristallo con un filo d’argento.
Un cuore può essere donato. Così, anno dopo anno, Mattia offre a Beatrice non solo il suo amore, ma la sua stessa vita, finché stremato cade morto nel suo laboratorio: chi ha avuto un cuore non può sopravvivere senza.
Beatrice, non vedendolo arrivare, corre da lui e, per salvarlo, prende tutte le scatoline ricevute in regalo e ricompone il cuore di Mattia nel suo petto, restituendogli la vita. Poi, con aria piccata, lo rimprovera aspramente per averla fatta così spaventare e indifferente come sempre torna a vivere nel bosco.
Beatrice tuttavia torna a casa con un segreto: ha tenuto per sé un pezzo del cuore di Mattia trovato in una delle tante scatole e ora, ad ogni primavera, può sorridere al giovane dalla finestra.
Le illustrazioni di Gabriel Pacheco sono rosse e blu, i colori del cuore.
Nelle immagini ricorre un filo, un filo di finissimo argento splendente, che ci guida dalla prima all’ultima pagina. Nella tavola iniziale è una nuvola aggrovigliata e vaporosa, ammassata nel laboratorio di Mattia.
Poi il filo si trasforma: dapprima diventa neve, poi una corda per una piccola chiave che pende dalla casa di Mattia (aprirà la porta? un cuore?); lo ritroviamo nel bosco vicino ad una scatola aperta dalla quale nasce un fiore, sulla soglia della casa di Beatrice e sotto forma di un gomitolo, scivolato dalle mani di Mattia, come bellissima metafora della sua morte.
E ancora il filo si aggroviglia in nuvole leggere che, messaggere inquiete del vento, spingono Beatrice a soccorrere Mattia, poi in una ragnatela per indicarci la stasi e l’oblio e di nuovo in un semplice rocchetto abbandonato su un tavolo, puro e semplice come la verità che ora evidente splende sotto gli occhi di Beatrice.
Infine il filo d’argento è l’energia lucente che riporta in vita Mattia e il fragile vincolo che ci racconta il legame tra i due innamorati, che mai più potrà essere spezzato.
In questo libro il filo è una metafora leggera capace di tracciare la strada nel bosco e nel labirinto. Beatrice diventa un’Arianna perduta e abbandonata al suo destino e Mattia è l’unico, l’eroe, che raggiungendo il centro, cioè il suo cuore, può salvarla.
In occasione del Festival Filosofia 2013, centrato sul tema dell’amare, Radice Labirinto ha in programma alcune iniziative, Per saperne di più, clicca qui.